La BBC e la foto di Hula
La notizia del massacro di venerdì scorso è stata documentata con un'immagine attribuita a "un attivista": ma era stata scattata nel 2003, in Iraq
La mattina di domenica 27 maggio, la homepage della BBC illustrava la notizia del massacro di Hula in Siria, che in quelle ore stava causando una grande indignazione da parte dei leader e dell’opinione pubblica occidentale, con l’immagine di un bambino che saltava tra file di corpi avvolti in lenzuola bianche: il rito usuale per la sepoltura secondo le norme della religione islamica, che prevede che il cadavere sia avvolto in un telo di lino o cotone bianco prima della preghiera funebre e della sepoltura.
In un angolo, dove solitamente sono i crediti delle immagini, c’era la scritta “Photo from activist” (“foto da un attivista”) e la didascalia diceva che “Si crede che questa immagine, che non può essere verificata indipendentemente, mostri le immagini di bambini che attendono la sepoltura a Hula.” Si trattava di una delle moltissime immagini e video che, dall’inizio delle rivolte in Siria, forniscono informazioni e mostrano – o promettono di mostrare – che cosa sta succedendo in un’area altrimenti quasi inaccessibile per i giornalisti, che circolano attraverso i social network e arrivano spesso ad essere riprese dai maggiori mezzi di comunicazione del mondo, solitamente con le avvertenze di cautela che ha usato anche la BBC. Si vedano, ad esempio, le immagini da Homs pubblicate a febbraio dall’attivista Mulham Al Jundi.
Domenica scorsa, però, poco tempo dopo la pubblicazione della presunta immagine da Hula, il fotografo italiano Marco Di Lauro ha messo la foto sulla sua pagina Facebook aggiungendo che “qualcuno sta usando illegalmente una delle mie immagini per la propaganda antisiriana sulla homepage della BBC”. Il fotografo scrive che l’immagine è stata in realtà scattata da lui a Al Musayyib, circa 40 km a sud di Baghdad, in Iraq, il 27 marzo 2003. Vi sono raffigurate le centinaia di corpi che vennero trovati in una fossa comune fuori dalla città, uccisi probabilmente durante la repressione di una rivolta sciita da parte del regime di Saddam Hussein dopo la guerra del Golfo del 1991.
Si trattava quindi di una foto che era circolata molto su Facebook e su Twitter, tanto da essere ripresa dalla BBC, ma che risaliva a molti anni prima ed era il lavoro di un fotografo professionista in tutt’altra circostanza. Forse la somiglianza delle date dello scatto (27 marzo – 27 maggio) ha avuto un ruolo. Non è comunque possibile ricostruire chi la abbia caricata per la prima volta su internet o chi l’abbia fatta girare con la nuova attribuzione.
Una cosa rimane comunque sicura: il massacro a Hula c’è stato, anche se le dinamiche non sono ancora state chiarite, ed è anche difficile negare che la responsabilità sia del regime di Assad. Gli osservatori delle Nazioni Unite erano sul luogo, hanno visto e hanno detto che il bilancio è di 108 persone uccise, tra cui 49 bambini e 39 donne. Le Nazioni Unite, inoltre, sono state rapide nel condannare il regime siriano, dopo una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza che si è tenuta tra domenica 27 e lunedì 28. Il comunicato finale, che condanna l’uso di “artiglieria governativa e colpi di mezzi corazzati contro zone residenziali”, è stato firmato da tutti i 15 membri del Consiglio, incluse Russia e Cina, che pure finora sono state tra i paesi più concilianti nei confronti del regime siriano.
Anche se l’errore della BBC è probabilmente “innocente”, ha scritto Max Fischer sull’Atlantic, e da Hula arrivano foto simili e ugualmente impressionanti, anche se meno professionali (si veda questa immagine in testa a un articolo del New Yorker, distribuita da AP), gli errori nella ripresa errata di uno dei moltissimi materiali che circolano su internet hanno un effetto. L’abbondanza dei materiali, scrive Fischer, è una conseguenza della diffusione della tecnologia, che fornisce al mondo un accesso senza precedenti alle notizie mentre stanno succedendo.
Ma quell’accesso, con tutto il suo ovvio valore, prende in parte il controllo della comprensione degli eventi da parte del mondo, togliendolo dalle mani di chi se ne cura tradizionalmente – giornalisti, organizzazioni non governative, osservatori internazionali – e mettendolo in quelle di attivisti e locali che hanno i propri motivi. Questo non significa solo che il mondo vede diverse rappresentazioni degli eventi rispetto a quelle che vedrebbe altrimenti; dato che i materiali prodotti dagli attivisti si muovono tanto più velocemente dei reporter tradizionali, questi finiscono anche per dominare la narrazione degli eventi.