A favore dell’antipolitica, quella vera
I partiti andrebbero eliminati come diceva Simone Weil, scrive Emanuele Trevi sul Corriere, non rimpiazzati con altri che si fingono diversi
Emanuele Trevi, scrittore e saggista, commenta oggi sul Corriere della Sera gli abusi strumentali che si fanno del termine “antipolitica” e ricorda invece come un vero pensiero contro i partiti esista storicamente e quali siano i suoi più sostanziosi argomenti.
Uno degli aspetti più insopportabili del pensiero collettivo di oggi è la tendenza a sovrapporre interpretazioni fasulle a problemi reali. Ecco per esempio prendere piede, e insediarsi stabilmente nel linguaggio e nelle coscienze, questa minacciosa e seducente categoria dell’antipolitica. Col suo inequivocabile suffisso, la parola suggerisce che nella nostra società si agitino idee e sentimenti collettivi ostili e contrari alla politica. Per questa strada, l’antipolitica rientrerebbe pacificamente nella stessa famiglia verbale dell’antibiotico, dell’antigelo, dell’antifurto. Ma se provassimo a fermarla alla dogana del ragionamento, questa presunta antipolitica, e a perquisirla a dovere, non scopriremmo nient’altro che una politica travestita, nemmeno troppo bene. Basta esercitare un po’ di attenzione per rendersene conto. Nella difficile impresa di superare in stoltezza ed ipocrisia i discorsi dei politici, i rappresentanti dell’antipolitica sono veri maestri.
La ragione è che sono fatti della stessa identica pasta dei loro presunti nemici. La propaganda è l’unico scopo, l’unico mezzo, l’unica ragione della loro vita. E il consenso televisivo è l’unico aspetto della realtà che i rappresentanti di entrambi i campi si contendono a colpi di menzogne. In questo contesto, l’antipolitico cambia gli ingredienti, non le regole del gioco. L’innocenza, la purezza, la finta ingenuità sono strumenti di propaganda non diversi, nella loro essenza, dalla promessa di posti di lavoro, e da tutti gli altri eterni espedienti della vecchia politica. Magari ci fosse, l’antipolitica vera. Ma, voltate le spalle alla ricerca del consenso, bisognerebbe procedere nella direzione del pensiero solitario, dello scarto culturale, del coraggio intellettuale. Cadrebbe davvero a proposito, per chi nutrisse tali nobili aspirazioni, la ristampa del Manifesto per la soppressione dei partiti politici di Simone Weil (Castelvecchi editore). Il fatto che i partiti esistano, scriveva Simone Weil nel 1943, «non è in alcun modo un motivo per conservarli».
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