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  • Martedì 29 maggio 2012

Come funziona la 500 miglia di Indianapolis

E com'è andata l'ultima, risolta da un testacoda impolverato, raccontato da Alessandro Baricco su Repubblica

ARCHIV: Dario Franchitti kuesst die Start / Ziellinie nach dem Gewinn des IndyCar Indianapolis 500 Rennens auf dem Indianapolis Motor Speedway in Indianapolis (Foto vom 27.05.12). Die 500 Meilen von Indianapolis sind das aelteste Autorennen der Welt. Was sich an diesem Sonntag bei der 96. Auflage allerdings im beruehmten "Nudeltopf" abspielte, gab es so noch nie. Der Schotte Dario Franchitti gewann das Rennen zum dritten Mal. Das allein ist natuerlich noch keine Besonderheit. Doch wie schon bei seinen Erfolgen 2007 und 2010 fuhr der 39-Jaehrige auch diesmal im Schneckentempo ueber den Zielstrich. (zu dapd-Text)
Foto: Tom Strattman/AP/dapd
ARCHIV: Dario Franchitti kuesst die Start / Ziellinie nach dem Gewinn des IndyCar Indianapolis 500 Rennens auf dem Indianapolis Motor Speedway in Indianapolis (Foto vom 27.05.12). Die 500 Meilen von Indianapolis sind das aelteste Autorennen der Welt. Was sich an diesem Sonntag bei der 96. Auflage allerdings im beruehmten "Nudeltopf" abspielte, gab es so noch nie. Der Schotte Dario Franchitti gewann das Rennen zum dritten Mal. Das allein ist natuerlich noch keine Besonderheit. Doch wie schon bei seinen Erfolgen 2007 und 2010 fuhr der 39-Jaehrige auch diesmal im Schneckentempo ueber den Zielstrich. (zu dapd-Text) Foto: Tom Strattman/AP/dapd

Dopo aver spiegato il bello della 500 miglia di Indianapolis, Alessandro Baricco racconta su Repubblica com’è stata vinta la prima edizione – grazie a uno specchietto retrovisore – e l’ultima – con un «testacoda impolverato».

Tanto lo sapete già: ha vinto Dario Franchitti, nome italiano, ma in realtà viene dalla Scozia. Qui alla 500 Miglia di Indianapolis aveva già vinto due volte, con questa fa tre ed eccolo approdato nella leggenda. Per gli amanti del gossip, la sua fidanzata si chiama Ashley Judd, famosa attrice: levita leggiadra ai box, come una sorta di apparizione, ed evidentemente porta fortuna. E con questo, la notizia l’ho liquidata e posso passare a raccontare.

Se Indianapolis è Indianapolis è anche perché qui si corre da quando le corse quasi non esistevano: le facevano negli ippodromi, mettendo ai piloti delle maglie colorate, come ai fantini, per riconoscerli: ci misero un po’ a capire che dipingere sulle auto un numero era più pratico. Si correva sulla terra e quindi il tutto si consumava in un nuvolone di polvere in cui si intravedeva giusto qualcosa. L’idea di fare dei veri e propri circuiti, disegnati apposta per le corse, appariva ancora come un’ambizione da grulli, ma a Indianapolis un passo avanti lo fecero: tennero il modello di pista delle corse di cavalli ma lastricarono il fondo di mattoni, che adesso sembra una follìa e allora invece dovette sembrare solo una tollerabile rottura di palle (ne misero giù 3 milioni e duecentomila, di mattoni). Di quel selciato, mitico, gli americani, che avendo poca storia non ne buttano via neanche un centimetro, hanno salvato una striscia, proprio sulla linea del traguardo: le gente ci va, si inginocchia e bacia i mitici brick: è gente fatta così.

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Il bello della 500 miglia di Indianapolis, con le foto dalla prima all’ultima edizione

Foto: Dario Franchitti bacia il traguardo della 500 miglia di Indianapolis dopo aver vinto, 27 maggio 2012 (Tom Strattman/AP/dapd)