La Grecia vista dalla Grecia
"Attorno alla monnezza la concorrenza fra umani e cani si è fatta più serrata", racconta su Repubblica Adriano Sofri da Atene
In un lungo reportage da Atene pubblicato oggi da Repubblica, Adriano Sofri racconta le difficoltà e il dramma degli ateniesi, colpiti negli ultimi tempi da dure misure di austerità. Molti di loro si sono ritrovati poveri negli ultimi mesi e nelle strade “attorno alla monnezza la concorrenza fra umani e cani si è fatta più serrata”. Intanto tra qualche settimana in Grecia si rivoterà e, scrive Sofri, molto probabilmente “prevarrà la rassegnazione alla conservazione di Nuova Democrazia e del PASOK, un tempo rivali del bipolarismo greco, oggi ridotti a un usato insicuro, insicurissimo, e tuttavia benedetto dal ricatto internazionale”.
I mendicanti che si vedono numerosi ad Atene sembrano più poveri di quelli di Budapest o di Sarajevo. Forse bevono meno, fumano meno, ma sono più poveri. Stanno sdraiati per terra e dormono, o fingono di dormire, magari con un bambino addosso, e con una mano morta che sporge tenendo il bicchiere di cartone per le monete, euro e frazioni, per ora.
Dal momento che la troika – Unione Europea, Banca Centrale e Fondo Monetario – ha solennemente deciso di raddrizzare le gambe ai cani di Atene, osserverò che questi si dividono più nettamente che altrove in tre categorie: i cani con padrone, i cani di strada, e i cani anarchici, i quali vivono bensì con umani, ma insofferenti di dei e padroni – ni Dieu ni maître. I cani di strada crescono di numero per le difficoltà dei padroni a mantenerli. Sia loro che quelli padronali guardano con una certa invidia i cani anarchici, già protagonisti di epici scontri di piazza, e in generale più preparati alla crisi. Da questo punto di vista, i tradimenti al buon nome dell’anarchia sono riscattati. Anche ad Atene attorno alla monnezza la concorrenza fra umani e cani si è fatta più serrata. Quanto ai mendicanti, il mio amico Jannis mi ha ammonito a distinguere nella carità fra i veri impoveriti e i professionisti. Più tardi, quando ho accennato ai grossi affari dei paesi forti e delle loro banche nell’andazzo che ha portato al disastro greco, Jannis ha protestato che la colpa è solo loro, sua e degli altri greci. Dichiarazione fiera, ma poi non ti meravigliare se i tedeschi non vogliono metter mano al portafoglio. Naturalmente, l’Europa dovrebbe mettere mano al portafoglio per amor proprio, e addirittura per egoismo.
Com’è noto – Ettore Livini ha fatto qui tutti i conti – la Ue ha sborsato una bella cifra: si direbbe, dai risultati, che ci sia un errore di fondo nella severa pedagogia con cui intendeva raddrizzare le gambe ai cani e forzare i poveri a cambiare stile di vita. Il 17 giugno prossimo i greci torneranno a votare, dopo che il risultato del 6 maggio ha reso impossibile la formazione di un governo. La data del 17 in Grecia è legata strettamente a quella del 23, che è il giorno di paga per stipendi e pensioni, e il voto può decidere se arriveranno o no i prestiti necessari. È la ragione per cui gli osservatori ritengono più probabile una vittoria dei partiti che hanno aderito al Memorandum, o almeno, visto il discredito colossale in cui sono caduti nel sentimento comune, una non vittoria della coalizione di sinistra radicale, Syriza, che è bruscamente passata da un’alleanza equilibristica fra almeno dodici gruppi e movimenti votati a un’opposizione perpetua alla prospettiva di governare. I penultimi sondaggi danno un testa a testa, ma gli esperti credono che alla fine prevarrà la rassegnazione alla conservazione di Nuova Democrazia e del Pasok, un tempo rivali del bipolarismo greco, oggi ridotti a un usato insicuro, insicurissimo, e tuttavia benedetto dal ricatto internazionale.
(Continua a leggere sul sito di Diritti Globali)