La questione di Facebook e la Borsa
Che cosa è andato storto: perché le azioni del social network hanno perso così tanto valore e così in fretta dopo l'attesa quotazione di venerdì
Venerdì 18 maggio Facebook si è quotato ufficialmente in borsa con la sua attesa offerta pubblica iniziale (IPO), annunciata come una delle più grandi nella storia finanziaria degli Stati Uniti. Le azioni sono state collocate a un prezzo iniziale di 38 dollari, ma dopo un rialzo che le ha portate fino a un valore di 42 dollari, hanno iniziato un declino che è proseguito nei primi giorni di questa settimana. Le azioni del social network ora valgono 31 dollari e hanno perso circa il 26 per cento del loro valore rispetto al picco massimo raggiunto venerdì. Anche se ci sono ancora margini di recupero, l’IPO di Facebook è stata finora definita un flop. Le ragioni delle pessime prestazioni in borsa sono numerose, ma secondo Henry Blodget di Business Insider sono da ricercare principalmente nel modo poco trasparente in cui è stato messo a punto il percorso che ha portato all’offerta pubblica iniziale e che sta portando ad alcune iniziative legali.
Quando Facebook stava mettendo a punto gli ultimi dettagli per la sua IPO, a inizio maggio, gli analisti finanziari della società passarono ai sottoscrittori (gli intermediari che sottoscrivono le azioni delle società che le emettono, per poi collocarle sul mercato) alcuni dati e previsioni sull’andamento della società, per facilitare la determinazione del prezzo e la vendita dell’offerta pubblica iniziale nel suo complesso. Questo tipo di previsioni, spiega Blodget, sono di solito messe a punto attraverso una stretta collaborazione tra gli analisti dei sottoscrittori e i manager della società interessata. Per questo motivo gli investitori qualificati, quelli trattati con un certo riguardo perché hanno grandi disponibilità economiche per fare gli investimenti, ritengono affidabili queste previsioni: indicano obiettivi che la società si è posta e che intende raggiungere. Sulla base di queste stime, gli investitori qualificati determinano di conseguenza quanto sono disposti a spendere per le azioni.
(La morale di Mark Zuckerberg)
Le previsioni non vengono rese pubbliche da nessuna parte. Di solito sono diffuse in via confidenziale e a voce a particolari investitori, che hanno dimostrato di essere interessati alla IPO. Si tratta di una prassi consolidata e accettata dalla Security and Exchange Commission (SEC), l’organismo di controllo che negli Stati Uniti vigila sulle attività in borsa, ma è da tempo criticata perché di fatto porta alcuni investitori ad avere informazioni che restano inaccessibili ad altri, soprattutto ai piccoli investitori.
Anche nel caso di Faceook, queste previsioni furono fatte circolare tra gli investitori qualificati, che ricevettero verbalmente informazioni sulle stime formulate dai sottoscrittori, dimostrandosi molto entusiasti per il valore che avrebbero potuto raggiungere le azioni. Le cose cambiarono però il 9 maggio, quando Facebook consegnò alla SEC un nuovo prospetto sulla propria IPO con nuovi dettagli. Nel documento, la società ammetteva con un linguaggio vago e senza fornire dati precisi che il numero di utenti giornalieri sul social network era continuato ad aumentare, ma non quello delle pubblicità mostrate. La differenza era spiegata dal fatto che si era verificato un aumento considerevole degli accessi a Facebook da dispositivi mobili, dove le pubblicità non sono mostrate praticamente mai.
Il passaggio, un po’ criptico, mise in allarme gli investitori qualificati e gli stessi analisti, che tra le righe videro la possibilità che il modo di generare ricavi da parte di Facebook basato principalmente sulla pubblicità si stesse deteriorando. Nel documento consegnato alla SEC non c’era comunque alcun accenno alla possibilità che nel secondo trimestre fiscale della società i conti potessero in qualche modo peggiorare. I tre analisti finanziari al servizio dei principali sottoscrittori della IPO di Facebook (Morgan Stanley, JP Morgan, Goldman Sachs) in seguito alla diffusione del nuovo documento tagliarono le loro stime sulla crescita del social network per il secondo trimestre del 2012. Queste stime con i nuovi tagli furono comunicate, sempre verbalmente, a un ristretto gruppo di investitori.
Blodget si chiede come mai tutti e tre gli analisti finanziari decisero di tagliare le loro stime, e ritiene che sia poco probabile che la decisione potesse derivare dalla sola lettura del nuovo documento inviato da Facebook alla SEC. Il taglio delle stime nel bel mezzo di una procedura che porterà a una imminente IPO è una decisione estremamente delicata da prendere e avviene molto raramente, e ancora più di rado da parte di tre grandi analisti finanziari in contemporanea. Secondo Business Insider l’operazione fu forse pilotata grazie a qualche dritta proveniente da uno o più dirigenti di Facebook, che erano già a conoscenza dei dati negativi del secondo trimestre.
Secondo una fonte interna, prima del taglio delle stime, la domanda per le azioni di Facebook era rimasta molto alta tra gli investitori qualificati. Dopo che furono comunicate le revisioni, in molti divennero più cauti sull’opportunità di investire nella IPO. A questo si aggiunsero altre tre cose che contribuirono a rendere meno appetibile l’offerta pubblica iniziale: il prezzo per la collocazione delle azioni era salito, cosa che rendeva l’affare meno interessante alla luce dei tagli; il numero delle azioni da mettere in vendita era aumentato; alcuni azionisti, come Goldman Sachs, avevano deciso di vendere più azioni (per questo ci fu chi scrisse che Goldman Sachs “mollava” Facebook).
Durante la presentazione della IPO a diversi potenziali investitori, sembra inoltre che i manager di Facebook avessero iniziato a mettere le mani avanti, spiegando che i ricavi pubblicitari della società non sarebbero aumentati alla velocità sperata. Agli investitori qualificati spiegarono che Facebook non ha attualmente un meccanismo pubblicitario efficace come quello di Google, e che quindi la raccolta di denaro dalla pubblicità sarebbe cresciuta a ritmi più contenuti. Un problema che del resto il social network si trascina dietro da molto tempo, nonostante l’alto numero di persone che lo utilizza ogni giorno.
Da una parte, secondo la ricostruzione di Business Insider, c’erano quindi i grandi investitori e i sottoscrittori coinvolti fin da subito nell’operazione che sapevano dei tagli alle stime di crescita di Facebook. Dall’altra, c’erano invece i comuni investitori che attendevano con ansia la quotazione in borsa della società per acquisirne le azioni, senza conoscere tutti i lati della storia. Non sapevano del taglio delle stime e probabilmente non erano al corrente del fatto che per Facebook si stava prospettando un secondo trimestre poco entusiasmante.
Alla fine della scorsa settimana arrivò il momento cruciale di stabilire il prezzo iniziale con cui collocare le azioni in borsa per la IPO. L’operazione fu gestita dai dirigenti della società insieme con il principale sottoscrittore, Morgan Stanley. Gli analisti della banca d’affari, ha spiegato una fonte (da prendere per ora con le molle), si resero conto che c’erano due distinti livelli di prezzo ai quali gli investitori erano disposti ad acquistare le azioni. Gli investitori qualificati, al corrente dei tagli e delle previsioni poco ottimistiche, erano disposti a comprare a un prezzo intorno ai 32 dollari. Gli investitori comuni, che avevano molti meno dettagli, erano più ottimisti e disposti a spendere intorno ai 40 dollari per azione. Sapendo che buona parte delle azioni collocate con la IPO potevano essere vendute agli investitori comuni, invece che a quelli qualificati, Facebook e Morgan Stanley decisero di collocare le azioni a 38 dollari. Pare inoltre che la banca d’affari si fosse data da fare per collocare una percentuale di azioni più alta del solito rispetto alle altre IPO verso gli investitori individuali.
Pochi istanti dopo l’apertura delle contrattazioni, venerdì 18 maggio le azioni di Facebook raggiunsero un valore di 42 dollari, per scendere poi a 40 dollari. Mantennero un simile valore per buona parte della giornata, dando il tempo agli investitori che acquistano per il brevissimo periodo di fare qualche affare, poi iniziarono a perdere rapidamente valore. Grazie al sostegno di Morgan Stanley, il titolo concluse comunque la giornata a un prezzo non molto distante dai 38 dollari di partenza.
La banca di affari non ha però potuto fare altrettanto nei primi giorni di questa settimana, a causa del numero di azioni ormai vendute e in circolazione. Se avesse continuato a sostenere il prezzo delle azioni di Facebook, sarebbe andata incontro a pesanti perdite. Di conseguenza, complice il ridotto interesse nel titolo dopo le trepidazioni iniziali, le azioni di Facebook sono precipitate in borsa arrivando a valere 31 dollari. Una cifra molto più vicina a quella indicata dagli investitori qualificati.
Le autorità di controllo, a partire dalla SEC, si sono ripromesse di indagare su come sono andate le cose nell’attesa quotazione in borsa di Facebook, e il procuratore generale del Massachusetts ha confermato di aver avviato un’indagine nei confronti di Morgan Stanley.
Non è detto che in seguito alle verifiche vi possano essere delle conseguenze legali, perché le regole della SEC consentono entro certi limiti il meccanismo della diffusione di informazioni privilegiate a particolari investitori. Rimane il fatto che in una delle più grandi IPO nella storia degli Stati Uniti, con la vendita di una enorme quantità di azioni ai piccoli investitori, i grandi gruppi di Wall Street erano a conoscenza di informazioni rilevanti sulla società che si stava quotando in borsa e che i pesci piccoli non potevano conoscere. Centinaia di migliaia di azioni sono state acquistate venerdì scorso a un prezzo molto più alto dell’attuale, portando diversi piccoli e medi investitori a perdere grandi quantità di denaro e a confidare in una ripresa del titolo, per lo meno nel medio periodo.
Ieri un’azione legale contro la società è stata depositata in California e oggi una simile iniziativa è stata presa da un gruppo di azionisti nello Stato di New York. In questo caso, le accuse sono contro Facebook e Morgan Stanley, accusate di aver nascosto le informazioni sulle stime riviste al ribasso legate ai ricavi della pubblicità. Le due società sono anche accusate di aver fornito questi dati solamente a un numero ristretto di investitori privilegiati.