Il fondatore di Patagonia
Il Wall Street Journal Magazine racconta chi è Yvon Chouinard, capo della marca di abbigliamento che invita i consumatori a non comprare i suoi prodotti
Patagonia è un famoso marchio di abbigliamento sportivo con quasi 1300 dipendenti, fondato negli anni Settanta da Yvon Chouinard. L’azienda, interamente di proprietà di Chouinard e di sua moglie, è gestita in un modo molto inusuale per una società famosa in tutto il mondo: destina parte dei suoi ricavi annuali a iniziative ambientaliste ed è stata una delle pochissime società a fare pubblicità invitando i consumatori a non comprare i propri prodotti. Queste particolarità discendono direttamente dalla personalità e dalle convinzioni del suo fondatore, a cui il Wall Street Journal Magazine ha dedicato un lungo ritratto.
Patagonia è una società molto florida. Lo scorso anno ha registrato vendite per 414 milioni di dollari (320 milioni di euro) e prevede che queste aumenteranno del 30 per cento quest’anno. Nonostante questo, Chouinard non sembra il classico uomo d’affari: dimostra parecchi anni in meno della sua età, è in forma e abbronzato, anche perché in ogni occasione possibile abbandona il suo ufficio nella sede della società a Ventura, in California, per andare a fare surf.
Yvon Chouinard, che oggi ha 73 anni, è nato in Maine, negli Stati Uniti orientali, da genitori di origine franco-canadese che si trasferirono in California quando Yvon aveva sette anni. Fino a otto anni non parlava inglese, dato che la lingua usata in casa era il francese. Passò gran parte della sua infanzia andando a pesca di gamberi intorno al Los Angeles River o cacciando conigli con arco e frecce.
La sua vera passione, l’alpinismo, la scoprì quando andava alla scuola superiore. Chouinard però non era soddisfatto dell’attrezzatura disponibile negli anni Cinquanta, e cominciò a darsi da fare per costruirsela da solo. Imparò il mestiere del fabbro e comprò l’attrezzatura per lavorare il metallo. Nel corso degli anni Chouinard diventò un alpinista di fama mondiale, molto apprezzato anche per le modifiche all’equipaggiamento e agli attrezzi che produceva personalmente.
Negli anni Settanta, Chouinard importava in California maglie da rugby e pantaloni di velluto a coste, alla ricerca di prodotti e materiali resistenti da rivendere ai suoi colleghi scalatori. Patagonia, fondata nel 1972, si dette in breve tempo alla produzione della propria linea di vestiario, che si rivelò di ben maggiore successo rispetto all’attrezzatura da scalata. La svolta arrivò quando, alle sfilate di New York, le case di moda proposero anche le maglie di pile di Patagonia.
Il successo non cambiò comunque le convinzioni di Chouinard e il suo approccio inusuale per l’ambiente. In “Lasciate che i miei ragazzi vadano a fare surf”, la sua autobiografia del 2005 citata dal WSJ Magazine, ha scritto: “Volevo distanziarmi il più possibile da quei cadaveri in abito e con l’aria pallida che vedevo in aereo sulle pubblicità delle riviste”. Chouinard chiama la sua filosofia “MBA”, un gioco di parole sull’acronimo comunemente usato per Master in Business Administration e che lui interpreta invece come management by absence (“gestione in assenza”). A volte rimane lontano da Ventura per mesi, testando sul campo i prodotti della sua società mentre va a pescare o a fare scalate.
Quando è nella sede di Patagonia in California, lavora a una scrivania senza computer né cellulare – Chouinard non li usa – e promuove uno stile molto amichevole e aperto nei rapporti con i suoi dipendenti. Non ci sono orari d’ufficio e sono frequenti le “pause-surf”, anche se i dipendenti devono comunque rispettare alcuni obbiettivi e scadenze fissate in anticipo. Nella sede della società c’è una stanza per fare yoga: l’autore del ritratto di Chouinard sul WSJ Magazine dice che al momento della sua visita, a metà mattina di un martedì, il capo della sezione design dell’abbigliamento maschile era in piena meditazione.
Fin dagli anni Ottanta, Patagonia ha dato l’un per cento dei suoi ricavi a iniziative ambientaliste, per un totale di 41,5 milioni di dollari a partire dal 1985. Patagonia ha promosso il principio “1% for the Planet” anche presso altre società, riuscendo a convincerne altre 1.400 di piccole e medie dimensioni a fare lo stesso.
Un campo in cui Patagonia investe molto è quello dei materiali, cercandone di resistenti e poco dannosi per l’ambiente. Alcune giacche sono fatte interamente utilizzando plastica riciclata. Una sezione del sito di Patagonia, “The Footprint Chronicles“, ricostruisce il costo ambientale della catena produttiva della società, mentre vengono incoraggiate la riparazione e la rivendita dei prodotti rotti o usurati.
A novembre dello scorso anno, quando negli Stati Uniti c’è stata l’annuale ricorrenza del Black Friday – il giorno del consumismo sfrenato, quando i negozi hanno i prezzi più bassi dell’anno e i grandi magazzini vengono letteralmente presi d’assalto – Patagonia ha comprato una pagina intera del New York Times in cui ha messo l’immagine di una giacca e un titolone, “Non comprate questa giacca”. Sotto la scritta veniva illustrato nel dettaglio l’impatto ambientale della produzione del prodotto, in termini di acqua utilizzata ed emissioni inquinanti.
Anche società molto più grandi di Patagonia si sono interessate, dopo molti anni, al modello di gestione attento all’ambiente di Chouinard, che sicuramente ha un grande ritorno dal punto di vista dell’immagine commerciale. Walmart, che ha ricavi annuali circa 800 volte più grandi, si è unita a Patagonia nel Sustainable Apparel Coalition (“coalizione per l’abbigliamento sostenibile”), invitando anche altri giganti del settore come Levi Strauss, Nike e Adidas per una serie di iniziative e di auto-regolamentazioni che impegnino a una produzione sostenibile e rispettosa dell’ambiente.
I critici dello stile organizzativo e economico di Patagonia dicono che quei metodi non funzionerebbero mai per una società quotata in borsa o che vendesse i suoi prodotti a prezzi più accessibili.
Chouinard non sembra molto colpito dalle critiche e va dritto per la sua strada: un paio di anni fa, come racconta il Wall Street Journal, venne invitato a tenere una conferenza davanti a allevatori e commercianti del settore ittico a Vancouver. Colpito dall’ignoranza del pubblico sui temi ambientali, sulle sostanze inquinanti e sui rischi per l’ecosistema connessi alla pesca, decise di fondare una società per il commercio del salmone, Patagonia Provisions, che ha debuttato poco più di un mese fa. Il pesce è pescato nel fiume Skeena, nella British Columbia (Canada Occidentale), con metodi che la società dice ispirati a quelli delle popolazioni native americane. Chouinard ha speso finora 1,3 milioni di dollari in questa impresa, con grossi dubbi sulla possibilità di rientrare nell’investimento.
L’idealismo, l’ambizione, la sicurezza di sé e la completa arroganza di questo esperimento con il salmone sono marchi di fabbrica dello stile di impresa di Chouinard. Il suo stile nel gestire una società si capisce forse meglio se lo si intende come un tipo di performance art, meno interessato ai dati che a tracciare un percorso per gli imprenditori futuri. “Non ho mai voluto entrare in affari”, dice. “Ma mi sono aggrappato a Patagonia perché è la mia possibilità di fare qualcosa di buono. È un modo di dimostrare che anche le società possono condurre una vita alla luce del sole.”