La giornata di uno scrutatore
Il racconto di come funzionano le cose ai seggi, da quando si montano le cabine a quando si contano i voti (tutto con molta calma)
di Luca Grasselli
Le elezioni amministrative hanno fatto tornare d’attualità, come accade sempre, la questione della lentezza con cui in Italia si ottengono i risultati del voto. Il tema è vecchio e naturalmente ha molto a che fare col modo in cui sono organizzate le operazioni: con la distribuzione dei seggi, con le procedure, coi loro tempi, con gli imprevisti, col funzionamento ufficiale e quello ufficioso. Chi ha fatto lo scrutatore queste cose le conosce tutte, gli altri ne conoscono molte ma altre no, o le conoscono diverse da come sono in realtà.
Una volta in Italia gli scrutatori – quelli che stanno al seggio e contano le schede elettorali – venivano estratti a sorte da un apposito albo riservato ai cittadini maggiorenni, residenti nel comune e dotati di licenza media, a cui ci si iscriveva volontariamente. Oggi gli scrutatori, in generale quattro per ogni sezione (solo tre per i referendum), sono nominati – sempre all’interno dell’albo – dalla Commissione elettorale comunale, formata da membri del Consiglio comunale. La norma è stata voluta dal secondo governo Berlusconi, probabilmente per timore di irregolarità nell’estrazione a sorte, ma di fatto consegna gli scrutatori all’arbitrio, più o meno illuminato, dei principali partiti rappresentati in comune.
Lo scrutatore può rifiutare la nomina “per gravi e giustificati motivi” entro 48 ore. Il sostituto viene nominato dall’Ufficio elettorale comunale. Se uno scrutatore non si presenta all’apertura dei seggi, il presidente di seggio può scegliere il primo cittadino (“alternativamente il più giovane e il più anziano”) che si trovi in prossimità del posto. Spesso i principali partiti posizionano militanti all’ingresso del seggio, in caso si verifichi quest’eventualità.
Chi trovi al seggio
Il presidente di seggio è nominato dal presidente della Corte d’appello all’interno di un apposito albo (riservato ai cittadini maggiorenni, residenti nel Comune e diplomati). In generale si tende a favorire la continuità e a nominare un nuovo presidente solo in caso di rinuncia. Il presidente si sceglie un segretario di fiducia (con i medesimi requisiti) e nomina tra gli scrutatori un vicepresidente. I candidati non possono essere presidente di seggio o scrutatore, e neppure coloro che svolgono o potrebbero svolgere una diversa funzione inerente al voto: i dipendenti comunali addetti alle funzioni elettorali, e quelli dei ministeri dell’Interno, delle Poste e dei Trasporti; gli appartenenti alle Forze armate in servizio; i medici condotti e gli ufficiali sanitari.
I rappresentanti di lista
I rappresentanti di lista vengono nominati, naturalmente, dalle singole liste presenti in quella specifica elezione. Se ci sono molte liste i rappresentanti possono essere molti: in generale però le forze minori non riescono a coprire tutti i seggi. I rappresentanti devono essere residenti nell’area interessata da quelle specifiche elezioni (in linea generale: possono fare i rappresentanti nei seggi in cui votano la stessa scheda che c’è nel loro seggio di residenza). E sono gli unici che possono portare un contrassegno col simbolo di lista, ma solo all’interno della sede del seggio. Possono assistere a tutte le operazioni di voto, senza interferire. È vietata – a loro come a tutti – qualunque forma di propaganda elettorale.
Chi li paga, e quanto
I membri del seggio vengono pagati dallo Stato. Il presidente percepisce 150 euro, gli scrutatori e il segretario 120. Per i referendum queste cifre scendono rispettivamente a 130 e 104, per le elezioni europee a 120 e 96. Per ogni scheda aggiuntiva, però, questi compensi vengono aumentati rispettivamente di 37 e 25 euro (33 e 22 per i referendum), fino a un massimo di quattro maggiorazioni.
I compensi vanno intesi per tutte le operazioni di voto, che comprendono un totale di 22 ore di apertura dei seggi, più il tempo di preparazione del seggio, più il tempo, variabile, dello spoglio (scrutinio): si può stimare da un minimo di 28 ore a parecchie ore in più, in caso di elezione con molte schede o di spoglio problematico.
I lavoratori dipendenti godono di un permesso retribuito per tutti i giorni in cui si svolgono le operazioni elettorali, a prescindere dall’effettivo orario di queste ultime, e inoltre di un riposo compensativo di uno o due giorni (a seconda che la settimana lavorativa sia di 6 o 5 giorni), a carico del datore di lavoro. Se i riposi non vengono fruiti, vengono retribuiti.
Per i rappresentanti di lista non è previsto alcun pagamento a carico dello Stato, ma se dipendenti usufruiscono dei riposi compensativi.
Attorno al seggio
Il seggio è presidiato, all’esterno, dalle forze dell’ordine: militari o appartenenti a un corpo di polizia, che hanno il divieto assoluto di entrare armati nel seggio se non sono espressamente chiamati dal presidente o da tre scrutatori.
C’è inoltre il personale di custodia dell’edificio (di solito bidelli o segretari della scuola); spesso fanno capolino i membri dell’Ufficio elettorale comunale per varie incombenze. Attorno alla sede del seggio si aggirano, naturalmente, militanti delle forze politiche e semplici curiosi, oltre che eventuali sondaggisti per gli exit poll. Sono teoricamente vietati “assembramenti” di più di tre persone nei pressi del seggio.
Il sabato: si allestisce il seggio
Il sabato pomeriggio, dopo che gli addetti del Comune hanno predisposto la sede del seggio, si compone l’ufficio elettorale: si fanno le verifiche di rito sulla sede, gli arredi – cabine, lampade, tavoli – e sul materiale: schede, matite, timbri, liste elettorali, registri, bustoni… Allestite le urne e appesi i manifesti, il lavoro più lungo e noioso riguarda le schede (che vengono fornite chiuse e piegate). Prima vanno contate rigorosamente; poi ne vengono timbrate (a mano, con un vecchio timbro con l’Italia turrita e il numero della sezione elettorale) e siglate (a penna) un numero sufficiente a quelle che si pensa possano servire per la giornata successiva: in un seggio normale, che può contare indicativamente dai seicento ai mille aventi diritto, qualche centinaio di schede.
Complessivamente le operazioni durano un paio d’ore. Al termine, con semplice carta adesiva siglata dai membri del seggio, si sigillano le urne, i contenitori delle schede, le finestre e la porta dell’aula, che viene chiusa alla presenza delle forze dell’ordine che stazionano fuori dal seggio.
La domenica: arrivano gli elettori
Alle 8 della domenica i seggi devono essere pronti per accogliere gli elettori.
Per il funzionamento del seggio, a norma di legge devono essere contemporaneamente presenti nel seggio almeno tre membri, tra cui il presidente o il vicepresidente: in generale, quindi, si stabiliscono turni più o meno informali, soprattutto per i pasti o per un po’ di riposo.
All’arrivo di un elettore si chiede la tessera elettorale e un documento d’identità, necessario se l’elettore non è noto ai membri del seggio. Si verifica che l’elettore sia presente nelle liste elettorali (l’elenco aggiornato di tutti coloro che hanno diritto di votare in quel seggio) e che non abbia già votato: se è così, viene ammesso alla votazione. Oltre agli scrutatori e i rappresentanti di lista del seggio, se non vanno a votare nel seggio di residenza, devono essere ammessi al voto (ovviamente se aventi diritto in quella specifica elezione) i membri delle forze dell’ordine a guardia del seggio e comunque quelli presenti nel Comune per motivi di servizio; aviatori e marittimi. Chi ha smarrito la tessera elettorale può farsene rilasciare un’altra dall’Ufficio elettorale del Comune.
Il voto
Chi presiede il seggio porge all’elettore le schede, aperte, e la matita copiativa (così detta perché lascia un segno indelebile e facilmente riconoscibile) e lo indirizza verso una delle cabine elettorali. I telefonini dotati di macchina fotografica devono essere consegnati alla presidenza (e annotati in un apposito registro). L’elettore non deve “indugiare artificiosamente” nella cabina, ma non c’è un tempo prefissato per le operazioni di voto: non è raro che elettori anziani impieghino svariati minuti, specie nel caso di schede particolarmente grandi o complicate.
Non di rado qualche elettore “chiede aiuto” su come esprimere il voto o piegare la scheda: anche in questo caso nessuno può affiancarlo nella cabina, al massimo gli si può dare qualche dritta ad alta voce. Decisamente più imbarazzante il caso in cui l’elettore chiede suggerimenti su chi votare, a cui si può opporre solo un cortese diniego. Possono entrare in cabina con un accompagnatore solo gli elettori non vedenti o privi dell’uso delle mani (se la menomazione non è evidente, serve apposita certificazione). In ogni sede di seggio almeno una sezione dev’essere attrezzata per consentire l’ingresso di disabili.
Dove esistono ospedali o case di cura, e simili, viene allestito un cosiddetto “seggio volante”: a un certo punto, il presidente di seggio, accompagnato da uno scrutatore, va a raccogliere il voto dei degenti che hanno diritto di votare a quella specifica elezione. Lo stesso avviene per le carceri. Gli ospedali più grandi sono invece sede di appositi “seggi speciali”. Gli elettori dipendenti da apparecchiature elettromedicali possono – unico caso – votare nel proprio domicilio.
Non si rubano le matite, non si rompono le schede (e viceversa)
Dopo che l’elettore è uscito dalla cabina ci si accerta che riponga le schede, piegate, nell’urna (se ci sono più urne per diverse votazioni è importante che inserisca ciascuna nell’urna giusta!), e che riconsegni la matita. La mancata riconsegna della matita, di per sé, costituisce un reato piuttosto serio – non per il valore della matita, naturalmente, ma per evitare che venga usata per fini fraudolenti – così come quella della scheda: anzi, la rottura intenzionale della scheda è severamente punita (se invece un elettore la lacera per sbaglio, può chiederne un’altra sostitutiva, ma non una terza).
Al seggio si passa il tempo
Se nelle ore di punta le operazioni di voto possono continuare a lungo senza sosta, e spesso producendo file di elettori alla porta del seggio, ci sono anche numerosi momenti morti in cui i membri del seggio chiacchierano, leggono libri o giornali (magari evitando di ostentare testate di partito), passeggiano appena fuori della porta, controllano che tutto sia in ordine, si esercitano a calcolare l’affluenza alle urne o fanno uno spuntino: non è vietato portarsi da mangiare, e a volte qualcuno offre focaccia o dolce per tutti. In generale, è interesse di tutti mantenere un clima composto e cordiale. Va anche ricordato che i membri del seggio, durante le operazioni elettorali, sono pubblici ufficiali.
E chi non vota?
Durante le operazioni di voto, in generale, uno scrutatore annota sull’apposito registro il numero della tessera elettorale dei votanti, un altro sigla sulla lista elettorale (distinta per maschi e femmine) i nomi di chi ha votato: come non tutti sanno, infatti, è segreto “che cosa” si è votato, ma non è segreto chi ha votato e chi no. Fino ad alcuni anni fa, tre astensioni consecutive venivano segnate sulla fedina penale: ora non c’è invece alcuna conseguenza, sebbene il voto resti “un diritto e un dovere”.
Fino al 2006 i rappresentanti di lista potevano prendere nota degli elettori che non si erano ancora recati a votare: ora è espressamente vietato compilare simili elenchi, anche se le liste elettorali restano consultabili. Al segretario spetta la compilazione – abbastanza onerosa – dei verbali.
Alle 12 e alle 19 viene rilevata l’affluenza e i dati vengono inviati all’Ufficio elettorale del Comune, che a sua volta li fa pervenire al Ministero. Alle 22 si chiude il seggio, dopo aver fatto votare gli eventuali elettori presenti in attesa. Si imbusta provvisoriamente il materiale, si sigillano le urne e tutto il resto come la sera precedente.
È pur sempre un lunedì
Il lunedì i membri del seggio si svegliano di buon’ora e hanno giusto il tempo per una rapida colazione: l’apertura è anticipata alle 7. In compenso, in generale si sa che – fino alla chiusura alle 15 – la giornata sarà piuttosto tranquilla e noiosa: anche dove l’affluenza è buona, è raro che venga a votare più del 10-15 per cento degli elettori. Un buon motivo per tornare a votare solo di domenica, com’è avvenuto per alcuni anni? Non è detto: ne parleremo alla fine.
Si chiude, si scrutina
Una volta terminate le operazioni di voto alle 15 (se ci sono elettori ancora presenti, cosa più rara che la sera prima, li si fa votare), si comunica l’affluenza definitiva, si sigillano le urne e si imbusta definitivamente tutto il materiale che non servirà più (facendo particolare attenzione alle schede non votate – a quelle già siglate viene apposto un ulteriore timbro – e alle matite copiative).
Prima dello spoglio, a volte, il presidente ha stabilito con gli scrutatori e i rappresentanti di lista i criteri da seguire in caso di schede dubbie. I casi principali sono previsti dalla legge e riportati nei manuali, ma, specie in caso di novità, possono esserci sempre spazi d’ambiguità e divergenze d’interpretazione. Condividere in anticipo certi criteri – senza sapere a chi gioveranno di fatto – aiuta a ridurre le possibili dispute.
Lo spoglio
La norma prevede che il presidente estragga ogni singola scheda e poi provveda a “chiamarla” (cioè: dichiarare il voto che vi è espresso) e passarla tra le mani di un paio di scrutatori che – insieme ai rappresentanti di lista – la controllano e ripongono, mentre gli altri annotano il voto sull’apposito registro. Anzi, i voti, se ne sono previsti e indicati più di uno (per esempio, sindaco, lista, preferenza). Procedimento lungo e farraginoso, che in realtà moltiplica le possibilità di confondersi e sbagliare qualcosa.
E quindi? Quindi in molti casi “si fanno i mucchietti”. In questo modo: le schede vengono estratte dall’urna a mazzi, gli scrutatori – insieme – le aprono e le dispongono in colonne a seconda del voto di lista; a quelle bianche viene immediatamente apposto il timbro regolamentare. Quando è finita questa prima operazione, il presidente, sotto gli occhi dei rappresentanti di lista, inizia a “chiamare” le schede di ciascuna colonna, passandole a uno scrutatore che le depone avendo cura di ruotarle di 90 gradi ogni dieci schede. Sistema molto più comodo, sia per il presidente che “chiama” gruppi di voti tutti uguali sia per lo scrutatore che li annota uno a uno nel verbale, che non è costretto a cambiar pagina ogni volta. Anzi, annunciando a voce alta ogni volta che si raggiunge la decina di voti, quest’ultimo permette un rapido e continuo riscontro con i “mucchietti”, che riduce al minimo le possibilità di confondersi nel conto. Il sistema mette anche al riparo da errori o irregolarità: se anche uno scrutatore inserisce una scheda nella colonna sbagliata, il presidente – che “chiama” e guarda personalmente ogni scheda –, l’altro scrutatore e i rappresentanti di lista hanno modo di controllare e segnalare l’errore. Le eventuali preferenze vengono conteggiate successivamente per ogni lista. Con questo sistema lo spoglio può durare due-tre ore. Se le operazioni di voto si sono concluse alle 15 senza ritardi, si è arrivati a questo punto tra le 18 e le 19.
Voti da decifrare
Se si procede in questo modo, le schede dubbie vengono messe in una colonna a parte e discusse alla fine. Non crea problemi, ma al massimo qualche risata, l’immancabile scheda annullata a suon d’insulti. Maggiore incertezza, invece, quando la croce è stata tracciata con un segno particolare o in posizione non centrale, o quando la preferenza per il candidato di una lista è stata scritta accanto al simbolo di un’altra lista; e così via. In generale i due criteri-guida sono: riconoscibilità del voto (si deve capire in modo inequivocabile qual era l’intenzione dell’elettore) e non riconoscibilità dell’elettore (non devono esserci eventuali segni che potrebbero indicare che l’elettore ha voluto far riconoscere la sua scheda da un eventuale membro del seggio complice). Ovviamente i casi limite esistono sempre, ma di solito sono pochi.
Il presidente ha il potere di assegnare il voto di ciascuna scheda (cioè di attribuirlo all’una o all’altra lista, o di considerarlo nullo) oppure – caso molto raro – di non assegnarlo: in questo caso sarà assegnato, successivamente, dal presidente della Corte d’Appello. Scrutatori e rappresentanti di lista possono far mettere a verbale le loro dichiarazioni e contestare il voto assegnato: le schede contestate saranno conteggiate nel computo complessivo, ma imbustate a parte, così da venire ricontrollate per prime – insieme a bianche e nulle – in caso di riconteggi e ricorsi. Il modo più semplice per evitare il prolungarsi delle discussioni è proprio che il presidente, a un certo punto, assegni il voto e prenda atto dell’eventuale contestazione. In generale, comunque, le schede contestate sono solo una piccolissima parte del totale.
Una volta terminate le operazioni, un estratto sintetico coi risultati viene inviato all’Ufficio elettorale del Comune, che trasmetterà a sua volta i dati al Ministero degli interni. Le schede, i registri, le liste elettorali e i verbali vengono invece inseriti in buste più o meno grandi, a loro volta inserite in altre buste di maggiori dimensioni in un gioco piuttosto complicato di scatole cinesi. Le liste e i registri, ma anche le schede non utilizzate, vengono inviate al tribunale; le schede votate e una copia del verbale raggiungono invece gli Uffici elettorali centrali stabiliti per ogni elezione; l’altra copia del verbale viene invece consegnata alla segreteria del Comune.
La proclamazione dei risultati
Nelle elezioni comunali, per i comuni con meno di 15.000 abitanti, i risultati vengono proclamati dall’adunanza di tutti i presidenti di seggio del Comune (se c’è un seggio solo, la proclamazione spetta direttamente al presidente). Per i comuni sopra i 15.000 abitanti la proclamazione spetta a un Ufficio elettorale centrale del Comune. Per le elezioni provinciali e regionali vengono costituiti – presso i tribunali del rispettivo capoluogo – analoghi Uffici elettorali centrali; per le elezioni politiche, presso la Corte di Cassazione. Un altro snodo fondamentale è l’Ufficio elettorale circoscrizionale, che durante le elezioni politiche proclama concretamente – a seconda degli eletti attribuiti a livello nazionale a ogni lista di ogni circoscrizione – il nome degli eletti.
Contrariamente a quanto si ritiene diffusamente, quindi, in questo cruciale e delicato compito non c’è alcun ruolo ufficiale del ministero degli Interni: i dati che diffonde vanno pertanto considerati, a stretto rigore, come ufficiosi.
Votare solo alla domenica sarebbe un vantaggio?
Dal 1993 al 2002 l’apertura dei seggi è stata limitata alla sola domenica. Nel 2002 – per agevolare la partecipazione al voto – si è ripristinato il precedente sistema per cui le urne riaprono nella prima parte del lunedì. Ogni tanto alcuni ripropongono di chiudere definitivamente i seggi alla sera della domenica, adducendo come motivazioni una maggiore rapidità delle operazioni elettorali e il risparmio di denaro.
In realtà, come abbiamo visto, il pagamento dei membri del seggio è forfettario: l’eventuale variazione dei compensi è quindi indipendente dal tempo necessario alle operazioni elettorali. L’unico vantaggio economico dato da votazioni che si limitassero alla domenica è per il datore di lavoro dei membri del seggio, che sarebbe tenuto a pagare il dipendente un giorno di lavoro (o di riposo compensativo) in meno.
In realtà, però, in caso di fine votazioni alle 22 della domenica, è praticamente inevitabile il prolungamento delle operazioni di spoglio oltre la mezzanotte, il che – a norma di legge – porta comunque a considerare anche il lunedì come giornata di operazioni elettorale, con relativo obbligo di riposo compensativo o retribuzione a carico del datore di lavoro. Laddove invece – come ora – le votazioni terminano alle 15 del lunedì, è relativamente improbabile che si protraggano oltre la mezzanotte, senz’alcun aggravio aggiuntivo. Anche nei casi in cui ciò avvenga (e che possono suscitare il sospetto che avvenga volontariamente), il lavoratore gode di un giorno di riposo (eventualmente monetizzato) in più, ma senz’alcun compenso aggiuntivo a carico dello Stato.
Va poi ricordato che il compenso per il lavoro notturno dei dipendenti comunali e statali, invece, viene maggiorato rispetto allo straordinario diurno: operazioni elettorali che si protraggono nella notte risultano quindi effettivamente più costose per la macchina istituzionale. Se si vuole risparmiare sul costo delle elezioni, l’orario di voto non sembra in sostanza l’aspetto più consigliato su cui intervenire.
La questione dei tempi
Vista la macchinosa farraginosità del sistema di scrutinio, alle considerazioni di carattere economico e al vantaggio del conoscere i risultati 17 ore prima si contrappone il fatto che uno scrutinio che inizia alle 22 vede i membri del seggio, e tutto il personale relativo, decisamente più stanchi e conseguentemente più inclini a errori e nervosismo. Se inizia alle 15, invece, lo scrutinio avviene di giorno, quando gli addetti sono più riposati, e generalmente la soluzione è preferibile anche in termini di trasparenza e sicurezza. Senza parlare del fatto che anche commentatori, giornalisti, sondaggisti e naturalmente i candidati coinvolti e tutte le persone interessate si troverebbero altrimenti a dover condurre una “maratona elettorale” notturna, con la prospettiva, a volte, di non conoscere i risultati definitivi prima dell’alba.