L’India ora cresce meno
La crisi dell'Europa è grave ma l'India dovrebbe preoccupare molto di più, scrive il New York Times
Secondo un editoriale del New York Times scritto da Tyler Cowen, professore della George Mason University di Fairfax (Virginia), gli Stati Uniti non dovrebbero preoccuparsi solo della crisi economica dell’Europa perché c’è un altro grande paese in difficoltà che, se dovesse andare in crisi, potrebbe provocare molti più problemi. Questo paese è l’India, che continua sì a crescere, ma a ritmi molto più bassi rispetto al passato. Secondo l’FMI, l’India crescerà nel 2012 del 6,9 per cento, una cifra apparentemente rassicurante ma in realtà inferiore alle stime precedenti che parlavano di 8 per cento e che potrebbe scendere ancora di più qualora ci dovessero essere altri imprevisti.
Questo declino della crescita indiana, scrive il New York Times, è piuttosto grave in quanto le conseguenze ricadono in gran parte sulla parte più povera della popolazione. Le cause, secondo Cowen, sono diverse. Innanzitutto, l’India negli ultimi tempi ha bloccato o comunque scoraggiato diversi investimenti stranieri, vedi le recenti resistenze contro Wal-Mart per l’ingresso nel commercio al dettaglio indiano, o l’idea del governo di porre una tassazione retroattiva alle imprese stranieri a seconda dei loro guadagni. Allo stesso tempo, invece, il New York Times dice che lo Stato controlla in maniera inefficiente il business del carbone e i suoi prezzi. Insomma, il mercato indiano avrebbe bisogno di più liberalizzazioni, ma non è facile vista l’opposizione popolare all’approvazione di simili riforme.
Ma questi, secondo il New York Times, sono problemi che potranno essere risolti in futuro grazie a politiche mirate. Più grave, invece, è per esempio il calo della produzione agricola (che impegna la metà della forza lavoro indiana) dovuto a infrastrutture e trasporti inefficienti ma anche all’ostilità del mercato indiano agli investimenti stranieri. A soffrire del calo della produzione agricola sarebbero soprattutto i più poveri, se consideriamo che circa la metà dei bambini indiani sotto i 5 anni soffre di malnutrizione.
Non solo. Anche il sistema dei servizi, vedi il redditizio ma “isolato” successo dei call center, in India sta mostrando grosse lacune. Ma soprattutto l’India ha una delle legislazioni più inefficienti al mondo, come dimostrano anche alcuni dati della Banca Mondiale, per non parlare della corruzione piuttosto diffusa che il premier Manmohan Singh ha sempre promesso di combattere ma che recentemente è stata oggetto di diverse inchieste giudiziarie, come quella sull’assegnazione delle licenze per la telefonia mobile.
Certo, l’India è un paese ancora molto forte, talentuoso e solido a livello imprenditoriale. È stato stimato che tra diversi decenni diventerà la prima economia al mondo, anche perché, a differenza della Cina, la crescita della popolazione indiana non ha ancora raggiunto il suo picco. Ma il New York Times sottolinea che il trend dell’economia indiana resta comunque preoccupante e pericoloso, soprattutto se contestualizzato nel rallentamento generale delle economie di tutti i paesi emergenti BRIC (acronimo per Brasile, India Russia e Cina).
Difatti l’anno scorso il Brasile è cresciuto solo del 2,7 per cento (nel 2010 del 7,5 per cento), così come caleranno quest’anno i PIL di Russia e Cina (la Russia ha stimato per il 2012 una crescita del 3,7 per cento rispetto al 4,3 del 2011, la Cina ha tagliato le stime al 7,5 per cento dal 9,2 dello scorso anno). Il punto è che non si sa quando e se questi paesi riprenderanno a crescere ai ritmi degli ultimi anni e questo, secondo il New York Times, è molto preoccupante, perché l’India, oltre a essere sempre più un punto fermo dell’economia mondiale è anche un fattore stabilizzante nella sua regione, sia dal punto di vista economico che politico e democratico, nei confronti dei paesi vicini, come Bangladesh e Nepal e in futuro, probabilmente, di Pakistan e Birmania.
foto: AP/Anupam Nath