Il PD difende le “pensioni d’oro”?
Diversi senatori del PD sono da giorni bersaglio di proteste e insulti online per un voto d'aula e stanno cercando faticosamente di spiegarsi
Lo scorso 2 maggio il Senato ha approvato quattro emendamenti riguardo le pensioni dei manager pubblici. I quattro emendamenti sono stati approvati contro il parere del governo, e per questo si è parlato di “governo battuto”. Si sta continuando a discutere della questione anche a distanza di giorni, però, perché diversi senatori del PD sono stati accusati per il loro comportamento in aula e a fronte di proteste, commenti e insulti online, stanno chiarendo quanto accaduto: lo hanno fatto nelle ultime ore sia Pietro Ichino che Anna Finocchiaro, tra gli altri. Ma cominciamo dall’inizio.
La prima manovra economica del governo Monti, la cosiddetta “Salva Italia”, ha tagliato gli stipendi di alcuni manager pubblici stabilendo che la loro retribuzione non potesse superare i 300.000 euro annuali. Il governo però pochi mesi dopo ha introdotto in un decreto legge una norma che stabilisce che, nel caso dei manager pubblici che hanno maturato l’età per andare in pensione ma decidono di rimanere a lavorare, l’assegno della pensione si calcola al 22 dicembre 2012, cioè prima del taglio dello stipendio. Questo, a detta del governo, allo scopo di evitare ricorsi e pensionamenti di massa, visto che chi fosse rimasto a lavorare oltre l’età pensionabile sarebbe stato – invece che premiato con una pensione più alta, come avviene di norma in questi casi – penalizzato con una pensione più bassa.
Il governo sostiene, tra l’altro, che gli eventuali ricorsi avrebbero avuto ottime possibilità di vittoria visto che, come spiega oggi Pietro Ichino sul suo sito, secondo “un orientamento giurisprudenziale costante della Cassazione e della Corte costituzionale […] il trattamento pensionistico per il quale una persona ha già maturato i requisiti, ma che non viene attivato poiché essa decide di continuare a lavorare, costituisce un diritto acquisito che non può essere inciso da nuove disposizioni”. Presentando la norma sulle pensioni, il governo aveva detto che questa non comportava oneri aggiuntivi per lo Stato.
I quattro emendamenti approvati dal Senato, presentati da PdL, Lega e IdV, cancellano la norma varata dal governo, stabilendo quindi che il taglio degli stipendi dei manager, già approvato, incide nel calcolo delle pensioni riducendo le dimensioni dell’assegno per chi rimane a lavorare oltre l’età pensionabile. Sugli emendamenti era stato espresso parere negativo del governo e il PdL, il Terzo Polo e il PD erano d’accordo a votare contro: la grande maggioranza del gruppo del PdL però non si è presentata in aula, quindi la maggioranza è stata battuta e la responsabilità politica del voto contrario è ricaduta quasi esclusivamente sui senatori del Terzo polo e del PD, i cui nomi e cognomi sono stati elencati su un post polemico – e piuttosto impreciso – sul sito del Popolo Viola, che è circolato molto online.
Anna Finocchiaro, capogruppo del PD in Senato, ha pubblicato ieri su Facebook una nota con cui definisce “FALSA e FUORVIANTE” (maiuscoli suoi) la notizia per cui il PD avrebbe difeso le “pensioni d’oro”. La sua pagina su Facebook è comunque piena di messaggi di protesta (come quella di Ignazio Marino, Stefano Ceccanti e di quasi tutti gli altri deputati presenti nella lista).
Le così dette “pensioni d’oro” sono state tagliate dal Governo Monti (anche con il nostro appoggio) diversi mesi fa. L’emendamento in discussione NON va a modificare tale decisione e, come spiegato dalla relazione tecnica redatta dal Ministero dell’Economia ad esso riferita, non produce effetti negativi per i saldi di finanza pubblica. Questo significa che quel comma non determina una maggiore spesa per le casse dello Stato, e ciò dimostra che quanto affermato da troppi oggi sulla rete è falso. Non abbiamo MAI votato contro la riduzione delle pensioni d’oro e il Partito Democratico non ha in nessun modo cambiato idea a tal proposito.
Quella sulle pensioni d’oro e’ l’ennesimo caso di disinformazione non so se dolosa o frutto di incompetenza. I fatti: ai così detti “pensionati d’oro”, ai manager pubblici, ai parlamentari al pari di altri percettori di redditi alti e’ stato giustamente imposto nei mesi scorsi di pagare un contributo di solidarietà ( 5 o 10 o 20 per cento a seconda del reddito). Si e’ posto un problema squisitamente tecnico per i dipendenti pubblici (per lo più manager) ovvero se la somma da pagare in più dovesse o meno essere computata ai fini pensionistici. Il Governo per evitare ricorsi, che i giudici avrebbero risolto in 5 minuti a sfavore dello Stato, e’ intervenuto con un decreto-legge per chiarire che l’importo del contributo costituisce base imponibile previdenziale.
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