IKEA e i prigionieri politici
Due inchieste negli ultimi giorni hanno detto che gli stabilimenti dei fornitori a Cuba e nella Germania est usavano detenuti condannati ai lavori forzati
La società svedese IKEA sta ricevendo in questi giorni accuse per l’utilizzo di prigionieri politici cubani nella produzione di mobili, nel corso degli anni Ottanta.
Le accuse alla società, che seguono di pochi giorni quelle di aver utilizzato prigionieri della Germania comunista, sono contenute in un articolo pubblicato il 2 maggio dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung. Citando documenti provenienti dall’archivio della Stasi, i servizi segreti interni della Repubblica Democratica Tedesca, la FAZ ha scritto che nel settembre del 1987 una delegazione di uomini d’affari della Germania comunista concluse un accordo dopo un incontro con il ministro dell’Interno cubano. L’accordo prevedeva, secondo la FAZ, che i siti di produzione per fornire i 35.000 tavoli da pranzo, le 10.000 scrivanie per bambini e altri 4.000 mobili in legno previsti dall’accordo, facessero parte delle prigioni gestite dal ministero cubano.
IKEA ha dichiarato di aver aperto un’indagine interna e ha detto che confronterà i documenti della Stasi con quelli che fanno parte dei propri archivi. Secondo la FAZ, un mese dopo l’incontro della delegazione della Germania Est all’Avana (di cui non facevano parte emissari di IKEA ma solo intermediari), l’accordo venne firmato nella sede di IKEA a Berlino Est. La prima spedizione di mobili da Cuba, nell’estate del 1988, non riuscì a causa di “difetti nella qualità” dei prodotti e venne ritardata di diversi mesi.
Pochi giorni fa, la trasmissione Uppdrag granskning (“obbligo di controllo”) della TV pubblica svedese SVT aveva mostrato altri documenti provenienti dagli archivi Stasi secondo cui prigionieri politici della Germania comunista avevano scontato parte delle proprie condanne ai lavori forzati fabbricando mobili per IKEA. Denunce simili erano apparse lo scorso autunno nei mezzi di comunicazione tedeschi.
IKEA, che a partire dagli anni Sessanta ha prodotto diverse merci in paesi del blocco comunista come Polonia e Repubblica Democratica Tedesca, aveva risposto di non essere mai stata a conoscenza dell’utilizzo di prigionieri politici nelle fabbriche dei suoi fornitori. SVT aveva detto nel corso del servizio che gli archivi della Stasi contengono più di 800 documenti che riguardano IKEA per il periodo 1976-1989, mentre un rappresentante tedesco di un’associazione di vittime della Stasi ha detto che la questione del lavoro forzato riguarda molte decine di migliaia di persone costrette a lavorare per aziende private.
Nel caso in cui i fatti riportati dalla televisione svedese si fossero rivelati veri, IKEA ha detto di essere disposta ad avviare trattative con le vittime per fornire un risarcimento.
foto: DIMITAR DILKOFF/AFP/Getty Images