La festa dei lavoratori
Cinque cose sul Primo Maggio, dalle origini a Portella della Ginestra, dal tradizionale concertone alla questione dei negozi aperti o chiusi
Oggi sono previste manifestazioni in Grecia, in Spagna, in Portogallo, in Italia. Negli Stati Uniti il movimento Occupy ha lanciato una giornata speciale di mobilitazione. In Russia scendono in piazza sia i sostenitori di Putin che i suoi avversari. A Hong Kong 5.000 lavoratori hanno marciato chiedendo un aumento del salario minimo. In Indonesia in 9.000 hanno chiesto stipendi migliori e lavori più sicuri, a Manila in 8.000 hanno chiesto un aumento della paga. Oggi è il primo maggio, la festa dei lavoratori.
Perché il primo maggio
La festa del lavoro o dei lavoratori ricorre il primo maggio non solo in Italia ma in moltissimi paesi del mondo. La festa cade in questo giorno soprattutto per via di quello che accadde nel 1886 negli Stati Uniti in questo periodo dell’anno: la polizia sparò sui lavoratori in sciopero a Chicago e uccise due persone. I lavoratori scioperavano per il mancato rispetto della legge che istituiva il tetto delle otto ore lavorative al giorno. Nei giorni successivi ulteriori manifestazioni furono represse dalla polizia e culminarono nella manifestazione di Haymarket, la piazza del mercato delle macchine agricole, durante la quale morirono altre persone – manifestanti e agenti – a causa di un attentato esplosivo. I responsabili dell’organizzazione della manifestazione del primo maggio furono arrestati e processati, sette di loro furono condannati a morte – con prove molto traballanti, per non dire inesistenti. Due condanne furono trasformate in ergastoli dal governatore dell’Illinois. Un condannato a morte si uccise in prigione il giorno prima dell’esecuzione. Altri quattro furono uccisi, e secondo le cronache dell’epoca cantarono la Marsigliese prima di morire. Nel 1890 la Seconda internazionale socialista decise di promuovere in tutto il mondo la festa dei lavoratori, il primo maggio.
In Italia
In Italia la festa dei lavoratori si tiene il primo maggio dal 1891. La festa fu soppressa dal fascismo e fu ripristinata nel 1945.
La strage di Portella della Ginestra
Il primo maggio del 1947 duemila persone – soprattutto contadini – manifestavano contro il latifondismo a Portella della Ginestra, in provincia di Palermo. Un attacco a fuoco, ordito dalla mafia con la complicità di chi era interessato a reprimere i tentativi di rivolta dei contadini, portò alla morte di 11 persone e al ferimento di altre 27. Il bandito Salvatore Giuliano fu identificato come il capo degli autori della strage, ma nel tempo si succederanno diverse ipotesi su chi potesse averlo sostenuto e aiutato. Le persone uccise a Portella della Ginestra si chiamavano Margherita Clesceri, Giorgio Cusenza, Giovanni Megna, Francesco Vicari, Vito Allotta, Serafino Lascari, Filippo Di Salvo, Giuseppe Di Maggio, Castrense Intravaia, Giovanni Grifò, Vincenza La Fata. Tre di loro avevano meno di 13 anni.
Il concerto di piazza San Giovanni
I tre maggiori sindacati italiani, CGIL, CISL e UIL, dal 1990 organizzano ogni anno a Roma un concerto per celebrare il primo maggio. È diventato un rito collettivo e identitario, al di là della programmazione musicale (ci sono anni migliori e anni peggiori, diciamo) e in quanto evento simbolico negli anni ha subito anche qualche argomentata contestazione (quest’anno, poi, è nata anche una questione rispetto ai suoi costi). Il Post ha raccolto quella di Marco Simoni nel 2009 sull’Unità: è passato del tempo, alcune cose sono cambiate, ma nel contempo la riflessione ci sembra ancora di una certa attualità.
I sindacati dovrebbero abolire il concertone del Primo Maggio. Non solo perché devasta il centro di Roma in una ubriacatura eccessiva, ma soprattutto perché ha perso ogni valenza politica ed appare sempre di più come una gigantesca foglia di fico davanti alla mancanza di una strategia di tutela e promozione dei lavoratori più giovani. Vorrei dire invece ai sindacati: abolite il concertone e usate le stesse energie mediatiche, finanziarie, politiche per la vita dei giovani lavoratori italiani. Meno circenses e più panem. […] Continuare a organizzare il concertone per suggerire un’immagine di vicinanza ai più giovani non serve a nulla senza iniziative politiche adeguate, anzi, è controproducente: nessuno ci crede, alla vicinanza. Lo dicono i dati sulla sindacalizzazione. Solo il 19% dei lavoratori sotto i 34 anni è iscritto ad un sindacato: è chiaro cosa significhi questo in prospettiva, una lenta, inesorabile, condanna.
I negozi aperti, i negozi chiusi
È una discussione ricorrente, in Italia, da qualche anno a questa parte. L’anno scorso il Post aveva preso posizione con un editoriale che vale anche oggi.
Però bisognerebbe anche capire cosa sia il Primo Maggio, se un simbolo o un giorno di ferie: perché se è la prima cosa, tutte le obiezioni concrete cadono. I lavoratori dipendenti sono già soggetti alle condizioni contrattuali e lavorative imposte dai datori di lavoro di intesa con i sindacati, non c’è niente di scandaloso. E un giorno di lavoro in più o in meno si può recuperare. In più, in quel simbolico giorno lavora da sempre una gran massa (crescente) di persone negli impieghi più vari, non necessariamente di servizio: e sono aperti anche molti esercizi commerciali. Resta quindi solo l’obiezione simbolica, che appare davvero fragile – anche a chi abbia cari i diritti dei lavoratori contemporanei piuttosto che una datata e pericolosa idea del loro mondo – e legata a una visione strabica che a sinistra ancora ritiene l’acquisto di beni una cosa di cui vergognarsi, contrapposta alla loro produzione (in Toscana si vedono in questi giorni manifesti del PD il cui slogan è “il lavoro nobilita”). Ed è indicativa la contraddizione tra la pretesa di comprendere “il paese reale” e conoscere i suoi bisogni, e la diffidenza nei confronti di una delle attività che – per molte ragioni – più occupa un bel pezzo di “paesi reali” e gran parte dell’elettorato del centrosinistra: compresi diversi di coloro che rivendicano legittimamente il giorno di ferie. Per non parlare delle persone che quando d’estate non trovano niente di aperto sono descritte come vittime di un vizio italiano, e il Primo Maggio devono sacrificarsi a una chiusura per legge.
È insomma difficile vedere nella chiusura obbligatoria per i negozi una reale battaglia per i diritti dei lavoratori, così come è difficile ignorare l’evidenza che si tratti di una tappa delicata nella ridiscussione del funzionamento del lavoro nell’epoca contemporanea e che quindi la questione non si riduca semplicemente a un giorno di lavoro in più o in meno.
Ma è in termini concreti e pratici che la si deve discutere, perché i diritti dei lavoratori sono una cosa concreta e pratica e i lavoratori sono persone, non una formula sindacalesca che evochi immagini di muscoli e martelli. È difficile fare grandi battaglie di principio se la gente ha fretta di andare a fare la spesa. E anche in termini concreti e pratici, non è l’argine dei negozi aperti o chiusi – argine di fatto già caduto – a tenere in vita l’importanza simbolica del Primo Maggio: un giorno di festa anche per molte persone che quel giorno lavorano, ogni anno.
foto: il memoriale per il massacro di Haymarket a Chicago. (Tim Boyle/Getty Images)