Le tasse che paga Apple
Un articolo del New York Times racconta come le grandi aziende informatiche approfittano di leggi obsolete per versare meno soldi agli stati
A Reno, la seconda città più popolosa del Nevada dopo Las Vegas, c’è un piccolo ufficio di Apple che consente alla società di pagare meno tasse negli Stati Uniti per le proprie attività. Pratiche simili vengono seguite da decine di aziende statunitensi, ma come spiegano Charles Duhigg e David Kocieniewski in un lungo articolo sul New York Times le strategie utilizzate da Apple sono particolarmente interessanti, specie se viste alla luce degli enormi profitti che realizza ogni anno fiscale l’azienda. La sede di Apple è a Cupertino, in California, ma quando si tratta di pagare le tasse diventa più conveniente avere un ufficio nel Nevada. L’imposta sul reddito delle società in California è l’8,84 per cento, mentre dalle parti di Reno è zero.
Nel corso degli anni Apple ha collocato diverse proprie società controllate e filiali nelle zone del mondo dove tasse e imposte sono più basse. Apple ha uffici che si occupano delle sue finanze in Irlanda, nei Paesi Bassi, nel Lussemburgo e nelle Isole Vergini britanniche, che consentono di risparmiare denaro quando si tratta di pagare le tasse. I sistemi utilizzati da Apple sono un esempio per capire come buona parte delle grandi società che si occupano di informatica sfruttano la mancanza di norme, o la loro inadeguatezza ai nuovi modi di fare impresa, per ridurre gli oneri fiscali.
Molte grandi aziende come Google, HP, Microsoft e la stessa Apple ottengono parte dei loro profitti non attraverso la vendita di particolari beni, ma grazie al pagamento delle licenze per l’utilizzo dei loro brevetti. In altri casi i prodotti venduti sono intangibili, come il software, i film e la musica in formato digitale, che rendono più semplice lo spostamento della gestione della propria fiscalità in paesi dove le tasse sono più basse. Una canzone venduta online può essere acquistata praticamente in qualsiasi paese, non ci sono particolari limitazioni e spesso mancano regole chiare sui sistemi per tassare il loro acquisto da parte degli utenti.
Apple, spiegano sul New York Times, è stata una delle prime società ad adottare particolari sistemi per trasferire i propri profitti verso le proprie controllate in Irlanda e Paesi Bassi, facendo poi confluire il denaro verso i Caraibi. Il sistema, molto complesso e con diversi passaggi che consentono di pagare meno tasse, viene ora utilizzato da centinaia di altre multinazionali. Si stima che grazie a questo sistema lo scorso anno Apple abbia risparmiato circa 2,4 miliardi di dollari negli Stati Uniti. La società ha pagato in tutto 3,3 miliardi di dollari di tasse per le proprie attività in giro per il mondo, a fronte di profitti che hanno superato i 34 miliardi di dollari. In percentuale ha pagato il 9,8 per cento di tasse, a fronte del 24 per cento circa pagato negli Stati Uniti da società con forme di business più tradizionali come la catena di supermercati Wal-Mart.
Attraverso un comunicato, ripreso nell’articolo del New York Times, i responsabili di Apple hanno risposto ricordando che la società “ha condotto tutti i propri affari con il livello più alto possibile di standard etici, rispettando le leggi”. La società ha anche spiegato che nella prima metà del nuovo anno fiscale, solo negli Stati Uniti ha pagato 5 miliardi di dollari. Su questa ultima cifra non ha però fornito particolari dettagli e, secondo gli autori dell’articolo sul giornale statunitense, nel calcolo sarebbero state incluse anche le tasse legate ai singoli impiegati.
I sistemi utilizzati da Apple e da molte altre società che hanno sede in California sono stati spesso criticati, anche perché le autorità californiane negli ultimi anni si sono date da fare per dare incentivi e sgravi fiscali per farle rimanere sul loro territorio. Nel 1996, 1999 e 2000 lo Stato della California ha emesso incentivi per la ricerca che hanno consentito a decine di società di pagare meno tasse. Dal 1996, grazie a queste iniziative si stima che Apple abbia risparmiato almeno 412 milioni di dollari e così molte altre società, anche se naturalmente con cifre più contenute.
Apple riesce anche a pagare meno tasse utilizzando società controllate per la raccolta dei ricavi derivanti dalle vendite di particolari prodotti, a partire dalle canzoni e dai film venduti su iTunes. In Lussemburgo, per esempio, c’è una società che si chiama iTunes Sarl con una decina di impiegati che nel 2011 ha raccolto un miliardo di dollari, circa il 20 per cento dei ricavi derivanti dalle vendite su iTunes. Lì il sistema fiscale consente di risparmiare denaro rispetto ad altri paesi, che non vedono così arrivare i soldi degli acquirenti che hanno acquistato le canzoni sui loro territori nazionali.
I metodi utilizzati da Apple e da centinaia di altre multinazionali sono sostanzialmente leciti e sfruttano le tante carenze legislative legate alle transazioni per i prodotti digitali che sussistono in buona parte dei paesi del mondo. Le cose potrebbero comunque cambiare nei prossimi mesi, concludono sul New York Times. A partire dallo scorso anno, Apple e società come Google, Microsoft e la multinazionale dei farmaci Pfizer hanno iniziato a spingere per convincere il Congresso ad approvare una nuova legge, una sorta di scudo fiscale, per riportare negli Stati Uniti le loro somme di denaro sui conti esteri. Con una simile operazione si potrebbero in prospettiva ridurre i sistemi per aggirare le imposizioni fiscali, ma il governo degli Stati Uniti potrebbe essere costretto a rinunciare a entrate fiscali per 79 miliardi di dollari nel corso dei prossimi dieci anni.