La storia di via Poma
Claudio Cerasa racconta il caso di omicidio del 1990 e spiega perché lo conosce bene
Oggi la Prima sezione della Corte d’assise d’appello di Roma ha assolto Raniero Busco per non aver commesso il fatto. Busco era l’ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, la ragazza uccisa con 29 coltellate il 7 agosto 1990 in via Poma a Roma, ed era stato condannato in primo grado a 24 anni di reclusione perché ritenuto responsabile dell’omicidio. Dell’intricata vicenda di via Poma, molto dibattuta e nuovamente senza un colpevole, si era occupato nel gennaio dello scorso anno Claudio Cerasa sulla rivista RollingStone, dopo la prima condanna per Busco, raccontando i personaggi del caso e il suo impatto sull’opinione pubblica.
Vent’anni dopo siamo ancora a quella sorridente ricciolina in bianco e nero fotografata con le gambe stese su un telo di spugna poggiato su una poco confortevole spiaggetta di uno squallido litorale romano. Vent’anni dopo siamo ancora alle raffinate disquisizioni sulle evoluzioni delle indagini, sui rilievi della scientifica, sulle attendibilità dei testimoni e sulle ultime documentazioni fotografiche in base alle quali i pubblici ministeri continuano a valutare appassionatamente le compatibilità delle arcate dentarie degli ex fidanzati della ragazza romana. Vent’anni dopo la parola Cesaroni ha persino fatto in tempo a trasformarsi nel titolone di una fortunata serie televisiva ambientata nell’allegro quartiere periferico della Garbatella, ma nonostante le spensierate performance del gagliardo Giulio, interpretato da Claudio Amendola, e della dolcissima Elena Sofia Ricci, nella parte di Elena, la verità è che Cesaroni resta ancora per la capitale il cognome che ha terrorizzato per anni un’intera generazione di pischelletti romani. E quando pensi a quel cognome, a Roma, diventa tutto un flash: la palazzina liberty, gli ingressi a forma di portici, le colonne ricoperte di travertino, le fontane di marmo fasciate di oleandri e poi il portiere, il fidanzato, l’architetto, la notte del sette agosto, il reggiseno slacciato, i seni scoperti, il top arrotolato, le mutandine strappate, i calzini bianchi, le scarpe da ginnastica e soprattutto il nome di quella stradina incisa sul marmo di uno dei palazzi ormai più popolari di Roma: via Poma.
Ho vissuto per quindici anni a ottocento metri dalla scena del delitto più famoso degli ultimi vent’anni. Via Poma è una stradina nel cuore del quartiere residenziale Prati, una zona di vecchi cannetti a due passi da San Pietro, a pochi metri da viale Angelico, a tre fermate dallo stadio Olimpico, piena zeppa di studi di avvocati, di caserme di militari, di licei fricchettoni, di terrazzi di giornalisti, di studi di registi, di agenzie fotografiche, di case cinematografiche e di elegantissime scuole medie ed elementari. E chiunque all’epoca frequentasse quelle scuole, davanti a via Poma ci passava ogni giorno – e solitamente, lo dico per esperienza, ci si pisciava sotto. C’era chi deviava, chi accelerava, chi temporeggiava, chi si scoraggiava e chi semplicemente, ogni volta che sfiorava il cancello del palazzone da cui non molto prima era uscito il corpo freddo di Simonetta, chiudeva gli occhi e subito se ne scappava.
Per anni e anni, a Roma il caso Cesaroni è stato il simbolo del ventre sofferente di una città che da decenni si ritrova condannata a convivere quotidianamente con l’insostenibile peso dei suoi misteri irrisolti: un flusso continuo di indecifrabili enigmi che spesso costringe il romano a ritrovarsi come se fosse protagonista di un grande giallo in cui quei delitti vivono insieme tutti quanti senza che sia più possibile distinguere i singoli particolari: da via Poma all’Olgiata, da Emanuela Orlandi a Marta Russo e così via. E in quel periodo, per chi abitava nel quartiere del grande giallo, del giallo di Simonetta, era facile avere un amico che viveva a via Poma, una compagna che era figlia di uno dei portieri, una maestra che abitava vicino alla casa di Simonetta, un conoscente con lo studio di fianco al luogo del delitto. Ed è facile immaginare come ognuno di noi, ognuno dei compagni, su via Poma aveva un flash sinistro: c’era chi in quella via giurava di aver visto più un’ombra sospetta; chi scambiava ogni fruscio per una minaccia; chi raccontava di una confidenza segreta; e chi ogni giorno ripiegava in una cartellina spiegazzata i dettagli di quella storia così travagliata. Una storia ambientata in una Roma che in quei giorni era terribilmente assetata di notizie. Era quella la Roma delle rivoluzioni urbanistiche, la Roma dei Montezemolo con i primi telefoni cellulari, ma era soprattutto la Roma delle sue storiche notti magiche dei campionati mondiali: con Zenga, Schillaci, Maradona, Matthäus, Brehme, Caniggia, Taffarel e tutti gli altri.
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foto: LaPresse