Dirgli che è ridicolo
Mattia Feltri sulla Stampa sostiene "un'ardita tesi" su Formigoni e teme che il problema sia soprattutto intorno a lui
Con la rinnovata attualità – non per ragioni di cui essere contenti – della figura del governatore della Lombardia Roberto Formigoni, oggi la Stampa affida a Mattia Feltri un suo vivace ritratto con analisi della situazione.
L’ardita tesi di questo articolo è che Roberto Formigoni non è mai cambiato, sebbene nei decenni abbia smesso le fiacche grisaglie stile ufficio mobilità per le t-shirt di Paperino indossate sotto il giubbotto di pelle alla Fonzie. Infatti di recente l’impietoso Roberto D’Agostino ha scritto che il governatore lombardo, negli imbarazzanti spot autopromozionali diffusi sul web, nei quali ammicca come una Lolita e col fioretto disegna sullo schermo una «F» tipo la «Z» di Zorro, «sculetta come i Teletubbies». Ma uno storico ciellino, per quanto si dica roso dal senso di colpa e dopo il preambolo sulle indiscutibili qualità politiche del soggetto, ieri ha confessato che «lo dicevamo pure noi, che sculettava, e se non ricordo male nell’85 o nell’86 lo scrisse Aldo Busi su Epoca». Era un giovanotto, così bello e così alto, dotato di una monacale barbetta che Filippo Ceccarelli avrebbe poi definito «sempre adeguatamente ispida», e già attraversava la vita a petto in fuori e natiche roteanti.
Il punto è che approdò al Parlamento europeo nell’84, trentasettenne, ed era il piccolo e serio fuoriclasse di Comunione e Liberazione e della Prima repubblica, e Giulio Andreotti progettava di farne il suo successore. Lui da quattordici anni faceva parte dei Memores Domini , associazione di Cl riconosciuta dalla Chiesa, e che chiede ai suoi di vivere in piccole comunità, di versare lo stipendio al priore che poi lo redistribuisce secondo i bisogni, di meditare e recitare le preghiere sera e mattina, di essere morigerati, umili, e soprattutto di rispettare il voto di castità. Ancora oggi le ragazze di Cl ricordano quale spreco gli parve. Ma Formigoni – attenzione, era già Formigoni, seppur in bianco e nero – seppe farne un punto di forza e nonostante a Strasburgo fosse atterrata con lui una giovane concorrente del settore astinenza, la Rosi Bindi dell’Azione cattolica. A ogni intervista il Celeste (soprannome di caratura nordcoreana da lui mai scansato) ribadiva, spiegava, illustrava, finché don Luigi Giussani non colse un’occasione per invitare l’amato figlioccio a una più marcata ritrosia nell’esibizione della virtù (si deve aggiungere che la Bindi non l’ha mai digerita, e una volta chiamò Formigoni «il signorino presidente»).
(continua a leggere sul sito della Stampa)
– La lettera di Carla Vites al Corriere su Formigoni e la risposta