Con la scusa dellantipolitica
Del discredito dei partiti qualcuno ha la responsabilità, o no?
«Guai a demonizzare i partiti», ha avvertito ieri il presidente della Repubblica, dopo aver ammesso che «il marcio si deve estirpare sempre». E non passa giorno senza che qualcuno ci avvisi che bisogna stare attenti a non delegittimare la politica, a non favorire “lantipolitica”, questo spettro di vaghi e confusi significati agitato dalla comunicazione giornalistica e politica con la consueta trascuratezza linguistica.
(Michele Serra: Tapparsi occhi e orecchie con l’antipolitica)
La crisi dei partiti e la delusione degli italiani è stata sancita ufficialmente anche dagli stessi partiti con la fine del governo Berlusconi: sparita quell’occasione di dare la colpa agli avversari dei disastri nazionali, è sparito anche ogni appiglio per eludere la realtà del fallimento dei partiti italiani, tutti. E l’appoggio al governo Monti non può essere percepito – e infatti non lo è – come un’inversione di tendenza sensibile: è al massimo un riconoscere parzialmente la propria inadeguatezza. Resta il fatto che dall’insediamento del suddetto governo non c’è niente che le leadership dei partiti abbiano fatto che abbia invertito la tendenza del loro declino agli occhi degli elettori. Non un’idea, non uno sforzo, non un’invenzione, non un sacrificio: e l’atteggiamento rigido e sciocco sui rimborsi elettorali ne è stato il culmine più recente (fino al prossimo). Non una visione, non un’intuizione per riguadagnare complicità e partecipazione da parte di militanti, elettori o simpatizzanti o antipatizzanti. Hai voglia a scrivere sonori commenti sul Sole 24 Ore – come ha fatto Massimo D’Alema ieri – sulla necessità di riguadagnare la fiducia dei cittadini, se poi a queste parole quotidiane, ripetute pigramente fino a svuotarle, ripetute con la convinzione che basti ripeterle, che la loro ripetizione esaurisca il compito, non fai seguire niente. I giorni passano, uno dopo l’altro, e finiscono nello stesso modo in cui sono cominciati, quando non peggio.
In questi casi, i leader dei partiti italiani non si dimostrano corrispondenti a tutti quei pesanti e severi epiteti di cui sono spesso destinatari, a volte anche immeritevolmente, a proposito di loro disonestà, spocchie, prepotenze o attaccamenti al potere: si dimostrano poco intelligenti. Non è “demonizzare i partiti”: è prendere atto dell’inadeguatezza di chi li guida. Per così dire.