La Guinea Bissau a 4 giorni dal golpe
Tomaso Clavarino è nella capitale e racconta a che punto sono le trattative tra i militari, i partiti e la comunità internazionale (non un buon punto)
di Tomaso Clavarino
A quattro giorni dal colpo di stato di giovedì notte, la situazione in Guinea Bissau rimane tesa e incerta. L’esercito e i partiti di opposizione, che non si sono opposti al golpe, stanno discutendo da sabato per trovare una via d’uscita da una situazione che rischia di piegare ancora di più un paese già tra i più poveri del mondo. Aprile è infatti il mese della raccolta dell’anacardo (castanha de cajù), che rappresenta il 98 per cento dei proventi delle esportazioni del paese e il 17 per cento delle entrate complessive dello stato. I militari hanno deciso di chiudere i confini terrestri del paese, oltre allo spazio aereo e a quello marittimo: un blocco prolungato del commercio potrebbe avere delle serie conseguenze sulla maggioranza dei piccoli agricoltori del paese.
Nelle ultime ore i militari e i partiti avrebbero fatto qualche passo avanti per la creazione di un “Consiglio nazionale di transizione”, che dovrebbe traghettare il paese fino a delle nuove elezioni che sarebbero previste a novembre. Il governo di transizione vedrebbe al suo interno figure di spicco dell’esercito ma non i rappresentanti del Paigc, il più grande partito della Guinea Bissau, il cui leader ed ex primo ministro, deposto giovedì scorso, Carlos Gomes junior, rimane tuttora incarcerato all’interno delle mura del quartier generale militare di Bissau Velho.
Circolano già i primi nomi sui possibili vertici di questo governo di transizione, nomi che erano immaginabili e non destano grandi sorprese. Secondo alcuni Koumba Yala, grande avversario di Carlo Gomes junior e, per molti, principale manovratore del golpe, potrebbe essere il nuovo presidente della Repubblica, mentre la carica di primo ministro dovrebbe andare ad Henrique Rosa, anch’egli candidato alle presidenziali annullate con il golpe.
Nel frattempo continuano ad arrivare le condanne da parte della comunità internazionale nei confronti dei golpisti. L’Unione Europea, per bocca del presidente Barroso, e la Cina hanno chiesto la liberazione degli arrestati e la restaurazione dell’ordine costituzionale. Il Portogallo è andato oltre facendo salpare dal porto di Lisbona, con direzione Bissau, due navi da guerra. Un modo per intimidire i golpisti, forse, che però non ha stemperato la tensione nel paese, che è quello di cui in questo momento avrebbe bisogno la Guinea Bissau. A giorni dovrebbe poi arrivare nel paese Jose Ramos-Horta, ex presidente di Timor Est e premio Nobel per la Pace, incaricato dalla Cplp (la comunità dei paesi lusofoni) di mediare tra le parti e tentare di trovare una soluzione per il bene del paese.
La comunità internazionale, nonostante il prodigarsi in difesa della democrazia, non è immune da colpe e da responsabilità per l’attuale situazione della Guinea Bissau. Meno di un mese fa il primo turno delle elezioni presidenziali è stato caratterizzato da irregolarità e brogli lampanti per i quali non è arrivata nessuna condanna da parte degli organismi internazionali. Un esempio: il 30 per cento degli aventi diritto al voto non ha potuto partecipare alle elezioni perché le liste elettorali non erano aggiornate da oltre tre anni. Molti giovani, che difficilmente avrebbero votato per Carlos Gomes junior, sono stati privati del loro diritto di voto. Un fatto che ha contribuito enormemente ad aumentare le tensioni politiche e che ha spianato la strada all’intervento dell’esercito.
I golpisti si trovano ora in quello che pare un vicolo cieco: o vanno avanti fino in fondo sfidando la comunità internazionale, le sanzioni ed eventualmente persino una forza militare straniera, oppure fanno marcia indietro ritornando alla situazione precedente al golpe. Di sicuro qualcuno, che sia l’esercito o la comunità internazionale, dovrà fare un passo indietro e cedere qualcosa.
foto: SEYLLOU/AFP/Getty Images