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  • Venerdì 13 aprile 2012

Un giorno a Bissau

Tomaso Clavarino è nella capitale della Guinea in cui è in corso un colpo di stato che ancora nessuno sa come chiamare

di Tomaso Clavarino

Serrande abbassate, strade vuote, poche persone in giro. Dopo gli scontri a fuoco della notte, Bissau è una città pressoché deserta. Su avenida Amilcar Cabral, una delle principali arterie della capitale, gli unici mezzi a sfrecciare sono quelli militari. Un andirivieni continuo per le strade della città con il chiaro obiettivo di prelevare, casa per casa, le personalità più influenti dell’ormai deposto governo di transizione. Sia il presidente ad interim Raimundo Pereira che il primo ministro e principale candidato alle elezioni presidenziali, Carlos Gomes junior, noto ai più come Cadogo, sono stati arrestati. Secondo alcune fonti vicine al Paigc, il partito di Carlo Gomes junior, il primo ministro sarebbe stato fatto salire su di una camionetta e portato verso il nord del paese, probabilmente nei pressi di Sao Domingo, località al confine con il Senegal.

(Cosa succede)

Dopo aver sparato raffiche di AK 47 e granate contro le residenze dei vertici dello stato, i militari hanno preso possesso del centro cittadino chiudendo l’aeroporto, bloccando l’accesso alla capitale e controllando gran parte delle vie del centro.

Un golpe era nell’aria e per molti guineensi si trattava di una questione di giorni. C’era tensione tra i candidati alle presidenziali: Cadogo era accusato di brogli e Koumba Yalà, che per molti è il vero mandante del golpe di giovedì notte, invitava a boicottare il ballottaggio previsto per il 29 aprile. Le forze armate, da anni oramai al centro di manovre oscure, hanno giustificato il golpe con l’intenzione di proteggere la sovranità nazionale del paese da un accordo segreto siglato tra il governo guineense e quello angolano. Una spiegazione che non convince, soprattutto la popolazione. Che la presenza di un contingente angolano a Bissau non fosse apprezzata dai militari non è un segreto, ma non è nemmeno un segreto che i militari spingessero da tempo per togliere dai giochi Cadogo, l’ultimo ostacolo per riuscire a ottenere il potere politico dopo aver ottenuto, nel corso degli anni, quello economico grazie al controllo del traffico di cocaina proveniente dal Sud America. Un traffico che ha contribuito a rendere questo piccolo stato dell’Africa Occidentale il primo porto africano per lo smercio di droga.

Schiacciata tra la violenza delle forze armate e la corruzione del governo di Carlos Gomes junior c’è la popolazione della Guinea Bissau, uno dei paesi più poveri di tutta l’Africa. Disillusi, disinteressati, apatici, i guineensi non sembrano nemmeno toccati più di tanto da questo ennesimo colpo di stato. Se la presenza dei militari ha fatto sì che il centro di Bissau si trasformasse rapidamente in una città fantasma, nei quartieri limitrofi la vita scorre tranquilla, come se nulla fosse successo. Le donne vendono la frutta ai lati della strada, il traffico è caotico e i taxi strombazzano come d’abitudine. Sembrano esserci due mondi paralleli, in Guinea Bissau: quello della politica, intriso di violenza, corruzione e affari sporchi, e quello della popolazione, oramai rassegnata agli eventi. Due mondi che, perfettamente paralleli, non si incontrano mai. Nessuna manifestazione di piazza, nessuna protesta, i guineensi sono semplici spettatori. C’è paura, forse, ma anche consapevolezza che ogni sforzo è pressoché vano.

Ora si attendono le prossime mosse dei militari e degli altri candidati alle presidenziali che in maniera compatta si sono schierati contro Cadogo. Il rischio è che da un conflitto che per ora ha toccato solamente i vertici dello stato si possa passare a tensioni più generalizzate, anche etniche. Non è un mistero, infatti, che quasi il 65 per cento delle forze armate sia di etnia Balanta come il candidato, e già ex presidente, Koumba Yalà.

Le informazioni sull’evolversi della situazione sono frammentarie, incerte e incomplete. I giornalisti indipendenti si contano sulle dita di una mano e spesso vengono arrestati. Come è successo stamattina ad Antonio Aly Silva, giornalista e blogger, preso in custodia dai militari dopo una cronaca ininterrotta degli eventi della notte tra giovedì 12 e venerdì 13 aprile.