Il nuovo articolo 18, per ora
Come il governo ha cambiato le norme sui licenziamenti economici, venendo incontro alle richieste di PD e CGIL, e con quale contropartita
Mario Monti ed Elsa Fornero hanno presentato ieri il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro – il testo integrale si può leggere qui – che era stato già annunciato in queste forme due settimane fa. Il disegno di legge consta di 70 articoli ma quella in circolazione è ancora una bozza non definitiva, ha detto il governo: senza contare che dovrà poi passare al vaglio del Parlamento e subire ulteriori modifiche. Insomma, le cose possono ancora cambiare.
La principale modifica annunciata dal governo riguarda la disciplina dell’articolo 18. Nella prima stesura della riforma, le diverse fattispecie di licenziamenti venivano così gestite: nei casi di licenziamenti discriminatori il giudice poteva sempre disporre il reintegro del lavoratore discriminato, come già adesso; nei casi di licenziamenti per motivi disciplinari, il giudice poteva disporre il reintegro nei casi più gravi – “se il motivo è inesistente perché il fatto non è stato commesso o se il motivo non è riconducibile al novero delle ipotesi punibili ai sensi dei contratti collettivi nazionali” – e altrimenti disporre un indennizzo da 15 a 27 mensilità; nei casi di licenziamenti per motivi economici, il giudice non poteva disporre il reintegro, neanche se avesse ritenuto il licenziamento ingiustificato, ma solo eventualmente un indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità. Quest’ultima norma è stata molto contestata in queste settimane dal Partito Democratico e dalla CGIL, ed è quella più importante tra quelle che sono cambiate.
Nel caso dei licenziamenti per motivi economici, quindi, il giudice potrà continuare a disporre il reintegro, ma solo in caso di “manifesta insussistenza” delle ragioni economiche. Altrimenti potrà disporre un indennizzo. La prima delle compensazioni accordate per far fronte a questa modifica, però, è la riduzione delle possibili mensilità di indennizzo: non saranno più tra 15 e 27 bensì tra 12 e 24.
Ci sono altre contropartite, che si concentrano soprattutto sulla riduzione delle tutele per i precari previste dalla prima stesura della riforma. Aumenta il numero di apprendisti che un datore di lavoro può assumere. Nei primi tre anni di applicazione della riforma, la percentuale di apprendisti da stabilizzare obbligatoriamente scende dal 50 al 30 per cento. Le norme contro l’assunzione delle finte partite IVA saranno operative un anno dopo l’entrata in vigore della legge. Il primo contratto a termine tra un’impresa e un lavoratore, se di durata non superiore a sei mesi, potrà essere sciolto anche senza indicare il motivo del licenziamento.
L’iter della legge
Il governo spera di concludere l’esame della riforma in commissione Lavoro al Senato entro la fine di aprile, per permettere all’aula di votare entro la metà di maggio. Ci sono poi tre deleghe, previste dalla riforma: materie che andranno approfondite con ulteriori interventi. Riguardano i tirocini, le politiche di ricollocamento e l’apprendimento permanente. Poi c’è la questione dei lavoratori statali, esclusi fin qui dalla riforma. Il ministro Patroni Griffi ha promesso di aprire un negoziato con i sindacati per individuare “gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione” tra la nuova normativa e le leggi oggi in vigore.
Le reazioni
Il PD è molto contento, Bersani ha definito l’accordo «un passo avanti importantissimo». Alfano ha detto che il PdL ha «accettato la modifica peggiorativa chiesta dal PD all’articolo 18, perché ci è stata data soddisfazione su tre o quattro questioni ed è stata toccata la flessibilità in entrata». Il Terzo Polo si è congratulato con l’«equilibrio» e l’«alta produttività» del governo. Italia dei Valori, Lega Nord e Sinistra e Libertà continuano a essere contrarie. Confindustria, ABI, Alleanza Cooperative e Ania hanno detto che le modifiche rispetto alla prima bozza sono «inaccettabili», «vanificano il difficile equilibrio raggiunto e rischiano di determinare un arretramento del mercato del lavoro». La CISL ha giudicato l’accordo «ragionevole», anche la UIL ha espresso opinioni positive. La CGIL, che non aveva firmato l’accordo proprio per le norme sull’articolo 18, si è mantenuta molto abbottonata. Susanna Camusso ha detto di «temere sorprese».
– È finita come doveva finire. Cioè bene, di Stefano Menichini
– Business as usual, di Francesco Costa
foto: Mauro Scrobogna /LaPresse