La marcia degli indigeni in Ecuador
Le foto della protesta di due settimane finita ieri nella capitale Quito contro gli scavi minerari autorizzati dal governo nella regione amazzonica
Giovedì migliaia di indigeni sono arrivati a Quito, la capitale dell’Ecuador, dopo una marcia di 700 chilometri iniziata due settimane fa nella città di El Pangui, nella regione amazzonica del Paese, per protestare contro il governo del presidente Rafael Correa. Lungo il cammino sono stati affiancati da attivisti e membri del sindacato degli insegnanti. I manifestanti hanno lanciato pietre e bastoni davanti al palazzo del parlamento, ferendo alcuni poliziotti. Poche ore prima, sempre nella capitale, si era svolta una manifestazione di migliaia di persone a sostegno del presidente.
I manifestanti si oppongono a un accordo firmato agli inizi di marzo dal governo ecuadoriano con una compagnia mineraria cinese, che investirà 1,4 miliardi di dollari in un progetto di estrazione del rame vicino a El Pangui. Correa ha spiegato che l’estrazione verrà realizzata con tecniche moderne, ha invitato gli indigeni a non farsi manipolare dalla «destra corrotta» e ha definito l’accordo «l’inizio di una nuova» era per l’Ecuador: il ricavato del progetto verrà impiegato per finanziare strade, scuole, ospedali e sarà in parte distribuito agli abitanti di El Pangui. La Confederazione degli indigeni dell’Ecuador (CONAIE) sostiene invece che le attività estrattive danneggeranno l’ambiente e obbligheranno le popolazioni locali ad abbandonare le loro terre. Ha anche sottolineato che il governo avrebbe dovuto consultare gli abitanti prima di firmare un accordo che stravolgerà i luoghi che abitano da secoli. La CONAIE si presenta come rappresentante della popolazione indigena nel Paese, che conta più di 14 milioni di persone. Nel 2007 ha avuto un ruolo decisivo nel sostenere l’elezione alla presidenza di Correa, candidato della sinistra, ma da allora si è trovata spesso in contrasto con i progetti da lui proposti per sviluppare l’economia del Paese.