La riforma non si applica agli statali?
Dopo ore di confusione e dichiarazioni contraddittorie il governo ha detto di no, facendo contenti i sindacati ma senza dare grandi spiegazioni
Per quasi tutta la giornata di ieri sono circolate informazioni poco chiare e contraddittorie riguardo una questione precisa inerente alla riforma del lavoro: le modifiche all’articolo 18 si applicano anche ai lavoratori statali? Il ministero della Funzione Pubblica inizialmente aveva detto di sì, dato che lo Statuto dei lavoratori si applica a tutti i lavoratori e dato che alcune sentenze della Cassazione – nonché il Testo unico sulla Pubblica amministrazione del 2001 – hanno messo per iscritto la parità tra lavoratori pubblici e privati.
Poi sempre il ministero della Funzione Pubblica si era corretto, dicendo che la questione sarebbe stata analizzata più avanti. Dopo ore di incertezza e dichiarazioni vaghe, il ministro Fornero ha dato la posizione ufficiale del governo sulla vicenda: le modifiche all’articolo 18 «non riguarderanno gli statali» e per questo motivo «non a caso il ministero della Pubblica amministrazione, Patroni Griffi, non sedeva al tavolo». La dichiarazione ha rassicurato i sindacati, sia la CGIL che la CISL e la UIL, che in precedenza si erano detti contrari all’estensione delle nuove norme agli statali. Ma che però non erano convinti, nemmeno loro, di cosa si fosse deciso durante il negoziato: il Corriere della Sera riporta le parole molto caute di Raffaele Bonanni, segretario della CISL, al quale «non risulta» che le norme si estendessero ai lavoratori statali e che dice di «ricordare che la Fornero disse all’inizio di questa storia che il pubblico impiego non era coinvolto».
(La riforma del lavoro in 4 punti)
Le ragioni di questa esclusione possono essere diverse, anche se per ora il governo non ha spiegato quali sono le sue. Nel caso dei lavoratori statali, infatti, si registra storicamente un rischio bassissimo di licenziamento, in confronto al settore privato: e d’altra parte nei casi di soggetti giuridici ampi e frastagliati come un ente pubblico può diventare complicato, per esempio, accertare la presenza o no delle “motivazioni economiche” che giustificano un licenziamento. Ieri Susanna Camusso ha poi avanzato il problema di professioni delicate, per esempio gli insegnanti, dicendo che senza l’articolo 18 nella sua attuale formulazione questi potrebbero essere discriminati per via delle loro idee. Naturalmente circolano anche versioni più subdole, secondo le quali l’esclusione dei lavoratori statali dalle modifiche dell’articolo 18 sarebbe servita a rendere più semplice il negoziato con dei sindacati che hanno nel settore pubblico una parte rilevantissima dei propri iscritti.
In ogni caso, spiega oggi Maria Antonietta Calabrò sul Corriere, questa deroga dovrà essere messa per iscritto dalla legge. E comunque potrebbe essere considerata illegittima.
Sarà insomma necessaria una deroga esplicita, anche perché nessuno può contestare che oltre alle aziende e industrie private se c’è un settore del Paese che ha bisogno di ristrutturazioni è proprio il settore pubblico. Se i sindacati imporranno una deroga per gli statali, però, quella norma difficilmente eviterà di incorrere in una sospetta illegittimità in base al principio di uguaglianza tra i cittadini sancito dall’articolo 3 della Costituzione. Anzi, quella deroga potrebbe vanificare le nuove modifiche facendole saltare del tutto anche per i dipendenti privati.
foto: Mauro Scrobogna /LaPresse