La riforma del lavoro in 4 punti
Che cosa cambierà con l'articolo 18, i contratti a termine e i congedi di paternità, e come funzionerà la nuova "Assicurazione Sociale Per l'Impiego"
La trattativa sulla riforma del lavoro tra il governo e le cosiddette “parti sociali”, cioè i rappresentanti dei lavoratori e quelli delle imprese, è arrivata a una svolta – e a una conclusione – ieri. Il governo aveva detto più volte di avere intenzione di chiudere il negoziato questa settimana e ieri, dopo settimane di incontri e riunioni, ha deciso di stilare un verbale con le posizioni dei vari soggetti coinvolti nella trattativa. Non c’è stato un accordo da firmare, ha spiegato Monti, perché «nessuno ha potere di veto» e perché il governo non apprezza «la cultura del consociativismo» propria della concertazione. Per questo motivo sarà il Parlamento a mettere mano alla proposta di legge, sui cui contenuti – in particolare relativamente all’articolo 18 – tutte le parti sociali acconsentono alle modifiche fatta eccezione per la CGIL. Un incontro conclusivo si terrà giovedì, domani.
Questo è il contenuto della riforma, a oggi. Va preso con le molle, perché sappiamo quanto può essere modificato – e persino stravolto e ribaltato – nel percorso di approvazione parlamentare.
Il contratto “dominante”
Il centro della riforma, ha detto il ministro Fornero, è il contratto a tempo indeterminato come contratto “prevalente” e “dominante” sugli altri. Oltre i 36 mesi di lavoro ogni contratto a tempo determinato diventa automaticamente a tempo indeterminato. Non sarà più possibile fare stage dopo la laurea, definiti dal ministro Fornero «lavoro non retribuito». L’ingresso dei giovani fino a 29 anni nel mondo del lavoro avverrà con un “contratto di apprendistato”, che diventa “contratto di inserimento” per chi ha più di 29 anni. L’apprendistato non potrà durare più di tre anni e dovrà prevedere un percorso di formazione: in caso di mancata assunzione, le competenze del lavoratore saranno comunque certificate.
Per l’intera durata dei contratti a termine, le aziende pagheranno un 1,4 per cento aggiuntivo di tasse. Queste tasse saranno restituite in caso di assunzione a tempo indeterminato del lavoratore – il “premio di stabilizzazione” – altrimenti andranno a finanziare l’ASPI, altra novità introdotta dalla riforma. Il rischio è che durante i contratti a termine l’aumento delle tasse possa essere pagato dallo stesso lavoratore, come già avvenuto in passato, visto che questo è privo di capacità negoziale sull’importo del suo stipendio.
Che cos’è l’ASPI
L’acronimo sta per Assicurazione Sociale Per l’Impiego ed è tecnicamente un ammortizzatore sociale, uno strumento di sostegno del reddito per chi perde il lavoro. Sostituirà a partire dal 2016 l’indennità di mobilità e di disoccupazione ordinaria e sarà, nella definizione del governo, “universale”: coprirà anche i lavoratori con meno anni di esperienza e quelli che hanno contratti atipici e precari, finora esclusi da qualsiasi ammortizzatore sociale (nonché apprendisti e artisti dipendenti).
I lavoratori con due anni di anzianità assicurativa e almeno 52 settimane di lavoro negli ultimi due anni potranno avere accesso a un assegno mensile da massimo 1.119,32 euro lordi, che si ridurrà del 15 per cento dopo 6 mesi e di un altro 15 per cento dopo altri 6 mesi. L’erogazione potrà durare fino a un anno per chi ha meno di 55 anni, 18 mesi per chi ha più di 55 anni.
Tutti i lavoratori contribuiranno a finanziare l’ASPI: l’1,4 per cento chi ha un contratto a tempo indeterminato, il 2,8 per cento chi ha un contratto precario (realizzando il meccanismo di incentivi e disincentivi di cui al paragrafo precedente). La sovrattassa sui contratti a termine non sarà applicata ai contratti stagionali, tipici delle aziende commerciali e turistiche. Le piccole imprese continueranno a godere di un regime agevolato, verseranno lo 0,40 per cento e non l’1,4 come le grandi imprese.
L’ASPI entrerà in vigore soltanto nel 2016 e “in regime transitorio” per dare il tempo ai lavoratori anziani oggi in mobilità di arrivare alla pensione, grazie anche ai contributi aziendali. La riforma degli ammortizzatori sociali non tocca la cassa integrazione ordinaria, quella straordinaria viene limitata alle aziende in ristrutturazione. Viene superata invece la cassa integrazione in deroga, introdotta nel 2009 per estendere i sussidi alle piccole imprese escluse dalla cassa integrazione. L’ASPI vorrebbe essere la concretizzazione del cambio di approccio del governo, dalla tutela del posto di lavoro alla tutela del lavoratore. Secondo il ministro Fornero l’ASPI arriverà a coprire 12 milioni di lavoratori, dove gli attuali strumenti ne coprono 4.
Nella pagina successiva: l’articolo 18, i congedi di paternità, le norme contro gli abusi di contratti a termine.
L’articolo 18
Le norme sui licenziamenti – anche, ma non solo, l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori – vengono modificate dalla riforma. Il governo ha detto di non avere intenzione di tornare sul tema, che considera “chiuso”. Di fatto esisteranno tre fattispecie diverse di licenziamenti, con tre trattamenti diversi (aggiornamento: nel pomeriggio i sindacati hanno chiarito che i lavoratori statali, non si capisce bene per quali ragioni, sono esclusi dall’applicazione delle norme).
Restano proibiti i licenziamenti discriminatori: il reintegro del lavoratore discriminato rimane obbligatorio.
Nei casi di licenziamenti per motivi disciplinari, per il lavoratore che fa ricorso al tribunale del lavoro è previsto il reintegro “se il motivo è inesistente perché il fatto non è stato commesso o se il motivo non è riconducibile al novero delle ipotesi punibili ai sensi dei contratti collettivi nazionali”. Negli altri casi il giudice – se ritenesse il licenziamento comunque ingiustificato – può disporre un indennizzo da 15 a 27 mensilità.
Nel caso dei licenziamenti per motivi economici, in caso di ricorso al tribunale del lavoro il giudice non potrà vagliare le motivazioni economiche – la cui valutazione, quindi, come da orientamento del governo, resta di pertinenza dell’imprenditore – e potrà eventualmente disporre un indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità, se ritenesse comunque il licenziamento ingiustificato.
Tutto il resto
Saranno introdotti “vincoli stringenti ed efficaci”, ha detto il ministro Fornero, per evitare gli abusi sui contratti a progetto e intermittenti. Se i lavoratori a partita IVA avranno prestato servizio per un unico committente per sei mesi, scatterà automaticamente il contratto di lavoro subordinato. Il divieto di far firmare le dimissioni in bianco ai lavoratori viene rafforzato da meccanismi che ne impediscano l’aggiramento (la norma riguarda soprattutto le lavoratrici donne). Le associazioni in partecipazione saranno ammesse solo per i familiari di primo grado. Saranno introdotti in via sperimentale i congedi di paternità obbligatori, dice il ministro Fornero, «per far cambiare la mentalità: la maternità non è un fatto solo di donne».
foto: Roberto Monaldo / LaPresse