Le nostre vite in vendita
Un'ambiziosa riflessione del filosofo Michael Sandel su cosa è successo da quando abbiamo consegnato alle leggi di mercato ogni valore delle nostre società
di Luca Sofri
Il professor Michael Sandel è uno stimato divulgatore americano che si occupa di etica e filosofia, e insegna a Harvard: qui lo descrisse Thomas Friedman del New York Times. In Italia Feltrinelli ha pubblicato il suo libro “Giustizia“, un’appassionante serie di lezioni dedicate alla comprensione dei nostri cliché su cosa sia giusto e cosa sbagliato, e al tentativo di smontarli.
Sull’Atlantic Monthly di questo mese c’è un articolo di Sandel molto interessante su un tema attualissimo ma trattato spesso superficialmente e ideologicamente (e ha già ricevuto obiezioni su siti “liberisti”): ovvero su quanto della nostra vita pubblica e privata sia giusto consegnare alle leggi del mercato, e se le nostre non si siano trasformate da “economie di mercato” a “società di mercato”. Attenzione: non alla distinzione tra settore pubblico e settore privato e all’efficacia delle loro varie declinazioni, ma al metro con cui diamo valore a molti principi e temi essenziali della nostra vita.
Sandel fa precedere le sue considerazioni da una lista di casi particolarissimi e impressionanti di “cose” che nel mondo sono state messe in vendita – sia da enti pubblici che privati – in deroga a regole o consuetudini generali: 90 dollari a notte per una cella migliore in certe carceri americane, 8 dollari per guidare nelle preferenziali in alcune metropoli dello stesso paese, 250 mila dollari per uccidere un rinoceronte protetto in Sudafrica, 1500 dollari l’anno per poter chiamare al cellulare il proprio medico, 10,50 dollari per emettere una tonnellata di anidride carbonica da parte di un’azienda all’interno dell’Unione Europea, e molti altri ancora.
Spiega Sandel che nei nostri tempi quasi tutto può essere comprato e venduto: è successo, un po’ alla volta, dopo che ci eravamo convinti che le leggi del mercato fossero il modo migliore per governare la produzione e distribuzione dei beni e creare ricchezza. Abbiamo lasciato che queste leggi guadagnassero spazi, ed entrassero anche nella vita sociale, complice il trionfalismo liberista degli anni di Reagan e Thatcher e poi quello più liberal di Clinton e Blair.
Oggi però le crisi finanziarie hanno rimesso in discussione quell’idea di prosperità derivante dai liberi mercati, la loro capacità di gestire i rischi. E dato forza al pensiero che il loro distacco dai valori morali sia un problema. Secondo Sandel è però sommaria l’analisi che vede un eccesso di avidità – e l’eccesso di rischi presi – come causa delle crisi e della rottura del sistema: l’avidità non è cresciuta, c’è sempre stata. E sarebbe infruttuoso pensare che un lavoro di maggiore responsabilizzazione morale tra le banche e chi lavora nella finanza possa scongiurare nuove crisi.
Quello che è cambiato, sostiene Sandel, è lo spazio che abbiamo lasciato alle leggi del mercato, permettendo che traboccassero nelle nostre vite in generale, anche su aspetti che prima erano governati da altri principi e norme. Sandel fa l’esempio di scuole, ospedali, prigioni, ed eserciti, polizie, in cui sia il settore privato che spesso quello pubblico seguono gli obiettivi del mercato. Ma anche dei medicinali, che negli Stati Uniti possono essere venduti e pubblicizzati con tecniche di comunicazione aggressiva indipendenti dal loro reale valore, come qualsiasi prodotto (se guardate la tv americana, siete indotti a pensare che la maggiore crisi sanitaria mondiale non sia la malaria o un’altra epidemia, ma un qualche tipo di disfunzione erettile). O pensate, dice ancora Sandel riferendosi agli Stati Uniti, all’invadenza della pubblicità nelle scuole, alla intitolazione a sponsor di parchi e luoghi pubblici, ai confusi confini tra informazione e pubblicità sui giornali (che si confonderanno sempre più in questi tempi di crisi), al marketing di uova e donatori per la riproduzione assistita, al sistema di finanziamento della politica.
Il mercato regola oggi ampie parti di settori delle nostre vite come scuola, salute, sicurezza, informazione, difesa, giustizia, protezione ambientale, riproduzione e altri beni sociali, in modi sconosciuti trent’anni fa e che oggi troviamo scontati.
Apro una parentesi: Sandel parla degli Stati Uniti, dicevamo, e in alcuni di questi settori lo sbarco delle leggi di mercato non è ancora in una fase così avanzata, in Italia. Ma la tendenza esiste, e coinvolge discorsi che facciamo sempre più spesso: sul servizio pubblico televisivo, sui libri, sui giornali, sul cinema, a proposito di quanto questi servizi che non sono solo commerciali siano sempre più consegnati a logiche puramente di mercato e queste definiscano il loro valore. Utilità economica che si sostituisce a valori morali intrinseci. E il discorso ci riguarda sempre di più sulla salute, sulla scuola, e su molto altro.
Chiede Sandel: perché di un processo che oggi ci è così familiare e che anzi abbiamo incentivato e promosso dovremmo invece preoccuparci? Per due ragioni.
La prima riguarda l’ineguaglianza: in una società dove ogni cosa è in vendita, non c’è più niente a cui sia garantito uguale accesso per tutti, e chi ha mezzi modesti è discriminato su tutto. Un conto è che il privilegio della ricchezza permetta uno yacht, vacanze lussuose e una vita più agiata: altro che questo declini ogni aspetto della nostra vita privata e sociale, la nostra salute, la nostra istruzione, il nostro pensiero, il modo in cui pensiamo una famiglia.
La seconda ragione Sandel la chiama “corruzione”, ma non nel senso in cui siamo più abituati a usare il termine: i soldi corrompono, e tolgono valore a tutta una serie di cose a cui eravamo abituati ad attribuirne uno diverso dai soldi. Se il valore di quelle cose viene definito dal loro costo economico, quelle cose si impoveriscono: pagare degli studenti per leggere più libri otterrà probabilmente che ne leggano di più, ma toglierà valore e senso alla lettura di quei libri, rendendoli un mezzo piuttosto che un’occasione intrinseca di arricchimento. Affidare la difesa nazionale a militari privati può essere più efficiente, ma sottrae a quell’impegno ogni senso di appartenenza e cittadinanza. Non è vero che i mercati sono neutrali, come dicono spesso gli economisti. Ci sono cose su cui invece abbiamo deciso che altri valori dovessero prevalere sulle leggi della domanda e dell’offerta: abbiamo abolito la vendita degli esseri umani, non permettiamo che siano comprati o venduti i bambini in adozione, anche quando c’è chi è disposto a venderli e chi a comprarli. Anche a fronte di garanzie sulla responsabilità dei genitori, pensiamo che pagare per dei bambini sia un modo sbagliato di definire il loro valore. Non mettiamo in vendita l’incarico dei giurati popolari, né il nostro voto: benché sia tutto da dimostrare che un’elezione affidata alle leggi del mercato porti a risultati peggiori per la comunità di alcune elezioni democratiche contemporanee (oppure diversi). Semplicemente, privilegiamo altri valori per regolare queste cose, e pensiamo che in molti casi i mezzi siano il fine: e che se le mettessimo in vendita le impoveriremmo.
Questi esempi, dice Sandel, mostrano che se le trasformiamo in beni commerciabili alcune cose buone della vita peggiorano, perdono valore. Ma la sua conclusione non è un’indicazione netta su quali cose debbano obbedire alle leggi del mercato e quali no: sarebbe presuntuoso e impossibile, al punto in cui siamo. Quello che serve, però, è che cominciamo a ridiscuterne, dice: privilegiando ancora una volta l’efficacia del dibattito e del confronto e l’attitudine a rivedere ogni principio e ogni consuetudine di fronte al cambiamento, tipica di una capacità di riflessione molto americana che cerca sempre le ragioni e il senso delle cose. E non lasciando la questione alla contrapposizione di criteri ancora economici (cosa conviene, cosa crea maggiore efficienza, cosa produce più ricchezza…).
Per non aver fatto questo dibattito ai tempi della celebrazione del liberismo, oggi ci troviamo ad essere passati da avere economie di mercato a essere società di mercato: non più un mezzo per organizzare la produzione ma uno stile di vita in cui il mercato governa ogni aspetto della vita, comprese le relazioni sociali.
Voi direte che, aggiunge Sandel, quello che siamo abituati a vedere del dibattito pubblico non è incoraggiante in questo senso: la discussione sembra fatta solo di gente che si sfida urlando in tv, che espone argomenti faziosi ed ideologici. Come sperare in un attento e delicato confronto su temi moralmente controversi come l’educazione, la procreazione, i bambini, l’ambiente, la salute, la cittadinanza?
Secondo Sandel è proprio per questo che oggi ci troviamo in questa confusione: in assenza di riflessioni su questi temi, le leggi del mercato hanno preso una supplenza e hanno invaso ogni ambito, fino a rendere inconsistenti persino gli stessi argomenti di valore morale, in quanto di nessun valore economico. Ai mercati non gliene frega niente di cosa è bene e cosa è male, di cosa vale di più in altri termini. Se qualcuno è disposto a pagare per del sesso o per un rene, e un adulto consenziente è disposto a vendere, l’unica domanda degli economisti è “Quanto?”. I mercati non giudicano. Non fanno differenza tra buono e cattivo, e questo ha reso i loro meccanismi preferibili per tutti quelli che obiettano sempre che nessuno può dire cosa sia buono o cattivo. Ma il prezzo che abbiamo pagato è che abbiamo smesso di pensarci, a cosa sia buono e cattivo, abbiamo tolto al discorso pubblico molta della sua energia civica e morale e incentivato una politica manageriale e tecnocratica.
Dovremmo decidere, come società, in quali casi le leggi di mercato fanno il bene comune e in quali no. Non troveremo risposte condivise su tutto, inevitabilmente: ma la nostra vita pubblica ne uscirà più sana, conclude Sandel, e saremo più consapevoli dei prezzi che paghiamo per una società in cui tutto è in vendita.
– Un estratto da “Giustizia”
– Chi è Michael Sandel
– Le lezioni di Sandel in video