L’India ha fatto un’imboscata ai marinai italiani?
Il ministro Terzi ha spiegato che la nave fu attirata con un pretesto e i marinai arrestati "per effetto di evidenti, chiare, insistenti azioni coercitive"
Il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, è intervenuto ieri in Senato (e oggi alla Camera) per riferire dell’uccisione in Nigeria di Franco Lamolinara e dell’arresto dei due marinai italiani in India, il maresciallo Massimiliano Latorre e il sergente Salvatore Girone, accusati di avere ucciso due pescatori al largo della costa indiana.
La versione italiana e quella indiana divergono su molti punti su quanto accaduto il 15 febbraio, ma il punto fondamentale è uno: quando sono partiti gli spari che avrebbero ucciso i pescatori, la nave italiana si trovava all’interno delle acque territoriali internazionali o in quelle indiane? Le autorità italiane, l’armatore e gli stessi marinai hanno sempre sostenuto di trovarsi in acque internazionali, e di dover essere quindi eventualmente processati dalle autorità italiane, stando alle norme del diritto internazionale. Le autorità indiane – nonché l’opinione pubblica – sostengono il contrario.
Giulio Terzi in Senato ha ricostruito la vicenda e ha spiegato perché, se la nave italiana si trovava in acque internazionali, è poi entrata in acque indiane e ha consegnato i marinai alle autorità che volevano arrestarli. E la sua versione – che poi è la versione dell’Italia – è inquietante: la nave sarebbe stata attirata in acque indiane con un sotterfugio e i marinai sarebbero stati costretti a scendere dalla nave e arrestati sotto la minaccia delle armi.
Terzi ha detto che il 15 febbraio i marinai hanno comunicato alle autorità militari italiane di aver registrato, alle 12.28, un attacco da parte di sospetti pirati e di aver messo in atto “graduali azioni dissuasive, inclusi colpi di avvertimento, al termine delle quali il naviglio sospetto si era allontanato”. Alle ore 15, dice Terzi, le autorità indiane hanno chiesto al comandante della Enrica Lexie di dirigersi verso il porto di Kochi, “precisando che avevano arrestato alcuni sospetti pirati e necessitavano di una collaborazione per identificare gli autori dell’attacco”. Alle 15.30 i marinai hanno comunicato alle autorità italiane che la compagnia armatrice aveva autorizzato la deviazione di rotta. Alle 17,48 l’Enrica Lexie sarebbe entrata nelle acque territoriali indiani. Alle 18 il maresciallo Latorre avrebbe appreso della morte dei due pescatori.
La cosa da spiegare, quindi, è cosa accade dalle 15 alle 18. Terzi dice:
È stato più volte sollevato l’interrogativo sul perché la nave sia entrata nelle acque indiane e sul perché i militari siano scesi terra. L’ho già detto pubblicamente da diverso tempo, in diverse occasioni: siamo tutti d’accordo che la nave non avrebbe dovuta entrare in acque indiane e i militari, di conseguenza, non avrebbero dovuto essere obbligati a scendere a terra.
Terzi dice esplicitamente che l’ingresso della nave in acque indiane è stato “il risultato di un sotterfugio della polizia locale”, visto che in porto non c’erano affatto pirati da riconoscere. La consegna dei marinai italiani all’India, invece, “è avvenuta per effetto di evidenti, chiare, insistenti azioni coercitive indiane”. Terzi dice che l’episodio era accaduto “per unanime riconoscimento” in acque internazionali, a 22 miglia dalla costa indiana, e quindi “sicuramente in una zona che la Convenzione di Montego Bay, la prassi e la dottrina internazionale riconoscono totalmente sottratta alla giurisdizione e alla sovranità dello Stato costiero”.
Il ministro degli Esteri ha spiegato che la consegna dei marinai alle autorità indiane è avvenuta “con grande spirito di responsabilità e disciplina da parte dei nostri militari” perché “possiamo solo immaginare le ben più gravi conseguenze che avrebbe prodotto una resistenza alle richieste indiane con l’uso della forza e la crisi gravissima che ne sarebbe derivata”.
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foto: AP Photo/Indian Navy