Il biologico è tecnologico
Antonio Pascale cerca di spiegare alla sinistra il bene della genetica in agricoltura
Antonio Pascale, esperto di tecnologie e pratiche agrarie oltre che scrittore e blogger del Post, ha scritto ieri sulla Lettura del Corriere della Sera contro quella che ritiene una rigidità ignorante da parte della sinistra italiana nei confronti dell’uso della genetica in agricoltura.
A metà degli anni 80 noi studenti del primo anno di Agraria scoprimmo una particolarità nella variopinta massa di professori. I professori di destra — in realtà democristiani — preferivano un’agricoltura basata su pratiche convenzionali. Invece quelli iscritti al Pci si occupavano di genetica sperimentale. All’epoca militavo in Democrazia proletaria. Ascoltavo i Rolling Stones. Sympathy for the Devil era la mia canzone preferita. Sarà perché abitavo a Caserta, città dalle antichissime tradizioni borboniche, e noiosissime, ma mi veniva facile un’equazione: i Rolling Stones erano come quei professori di genetica sperimentale. Ci invitavano a seguire un nuovo ritmo. Il loro ragionamento partiva dalla seguente storia. Quando un cacciatore raccoglitore prendeva i chicchi in una distesa di frumenti selvatici, probabilmente riusciva a ricavare 500 chili per ettaro. In età romana lo stesso contadino arrivava a produrre una tonnellata di frumento. Caduta dell’Impero romano d’Occidente, 476 d.C.? Una tonnellata. Creazione del Sacro romano impero ad opera di CarloMagno, 800 d.C.? Una tonnellata. Saltiamo fino all’Ottocento. Una tonnellata.
La produzione dei cereali comincia a crescere solo nella seconda metà nel Novecento: primi concimi chimici, agrofarmaci, e diserbanti. Il miglioramento genetico compie un passo importante, grazie a Norman Borlaug, che abbassa l’altezza della pianta. Una pianta più bassa spreca meno energia per il fusto e la concentra sulla granella: aggiungiamo concimi ed è il boom. Intere nazioni uscirono dalla fame e Borlaug ricevette il premio Nobel per la pace: «All’uomo che ha aiutato a procurare pane in un mondo affamato (…); chi produce pane fornirà anche pace».
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