Il punto sull’Iran
Israele preme per attaccare, gli Stati Uniti frenano, ricominciano tra molti scetticismi i negoziati con la comunità internazionale
Dopo l’ultimo viaggio del premier israeliano Benjamin Netanyahu negli Stati Uniti e l’incontro con il presidente Barack Obama, la questione del controverso programma nucleare iraniano è ancora molto lontana da una sua risoluzione, per lo meno in tempi brevi.
L’Iran dice che il suo programma nucleare è unicamente destinato alla produzione di energia. Gran parte della comunità internazionale, in primis Israele e Stati Uniti, pensa invece che l’Iran voglia dotarsi di una bomba nucleare. Alla stessa conclusione è arrivata qualche mese fa l’agenzia delle Nazioni Unite per l’energia nucleare. Le posizioni di Stati Uniti e Israele però divergono su un punto: i tempi per un eventuale attacco. Israele vorrebbe attaccare gli impianti iraniani anche in tempi brevi, qualora l’Iran non fermasse subito il suo programma nucleare, anche nonostante tutti i rischi e i dubbi posti da un eventuale intervento. Oggi il quotidiano israeliano Haaretz ha scritto che il governo Netanyahu avrebbe già preso in considerazione l’eventuale lancio di razzi su Tel Aviv come rappresaglia.
Gli Stati Uniti non sono dello stesso avviso. Nonostante ieri il capo del Pentagono Leon Panetta abbia sottolineato che tutte le opzioni sono sul tavolo, concetto pubblicamente ribadito dalla Casa Bianca, l’atteggiamento americano è più guardingo e lo stesso Obama ha invitato Netanyahu a non prendere decisioni affrettate e aspettare i risultati degli attuali sforzi diplomatici.
Ieri l’Unione Europea ha annunciato che presto – ma non si sa ancora quando né dove -riprenderanno i negoziati tra Iran, Germania e i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia e Cina) dopo un’esplicita richiesta dell’Iran. C’è molto scetticismo da parte di tutti i paesi coinvolti, la Francia su tutti, visto come sono andati gli scorsi negoziati, nei quali il governo di Teheran ha fatto spesso ostruzionismo. Si teme che l’apertura dell’Iran possa essere una semplice mossa per guadagnare tempo, come già visto più volte in passato.
Anche l’Iran però non è nelle condizioni di poter tirare troppo a lungo la corda. Le sanzioni della comunità internazionale stanno facendo effetto, l’economia del paese attraversa uno dei suoi momenti più bui degli ultimi anni, l’inflazione è arrivata a livelli record, il blocco al potere è sempre più diviso, come hanno dimostrato le ultime elezioni parlamentari. Per il momento l’Iran sta continuando a cercare ed esplorare vie alternative per aggirare le sanzioni e vendere il suo petrolio, evitando così l’embargo della comunità internazionale sulle banche dove vengono accreditati i ricavi delle vendite di greggio.
Proprio le alleanze iraniane sono in questo momento un altro elemento fondamentale in caso di un eventuale attacco di Israele. Il movimento sciita Hezbollah in Libano ha fatto intendere che potrebbe attaccare Israele qualora venisse bombardato l’Iran (Hezbollah dispone di 10mila lanciarazzi nel sud del Libano). Il gruppo estremista di Hamas nella Striscia di Gaza, invece, ha detto che, in caso di bombardamento sull’Iran non attaccherà Israele. Del resto, nonostante siano entrambi di ispirazione musulmana, l’Iran è un paese a forte maggioranza sciita mentre Hamas è un movimento sunnita. E soprattutto, mentre l’Iran supporta la repressione di Assad in Siria, Hamas si è schierata a fianco dei ribelli. Non a caso Hamas punta a forti alleanze future con Egitto, Turchia e Qatar.
nella foto: L’ayatollah iraniano Ali Khamenei (AP/Office of the Iranian Supreme Leader, File)