Guida completa al Super Tuesday
Oggi è il giorno più importante delle primarie repubblicane negli Stati Uniti: le cose da sapere, stato per stato, delegato per delegato
di Francesco Costa
Trovandosi a spiegare la politica statunitense ai lettori di un quotidiano britannico come l’Independent, quattro anni fa l’attore americano Richard Schiff decise di prenderla piuttosto larga. “Tutto è grande, in America. Ci piace questo genere di parole. Facciamo grandi film, abbiamo grandi aziende. In Montana chiamiamo il cielo The big sky. Il nostro esercito è il più grande in circolazione, il nostro più grande deserto lo abbiamo chiamato Valle della Morte, il nostro canyon più grande è il Grand Canyon, così come il colpo migliore nel baseball è il Grand Slam, e d’altra parte le nostre pianure sono le Grandi pianure. Il nostro supereroe è Superman, il nostro più importante evento sportivo è il Super Bowl. E quindi il giorno più importante delle nostre elezioni primarie si chiama Super Tuesday”.
Schiff scriveva queste cose nel 2008, e quello fu un Super Tuesday molto super: quel giorno si disputarono 24 primarie democratiche e 21 repubblicane, da una parte si sfidavano Obama e Clinton, dall’altra McCain, Romney e Huckabee. Quest’anno le cose hanno dimensioni più ridotte, per quanto parliamo sempre del giorno più importante delle primarie: Obama competerà – si fa per dire – soltanto in uno stato, mentre i repubblicani si contenderanno 416 delegati in 10 stati diversi (poi ci sono i superdelegati, i dirigenti del partito con diritto di voto quasi sempre autonomo, ma quello è un discorso a parte). I candidati rimasti in gioco sono quattro: Mitt Romney, ex governatore del Massachusetts; Rick Santorum, ex senatore della Pennsylvania; Newt Gingrich, ex deputato ed ex speaker della Camera; Ron Paul, deputato di lunghissima data in Texas.
Perché il Super Tuesday è importante
Banalmente perché assegna in un giorno solo una gran quantità di delegati, cioè le persone che durante le convention estive sceglieranno formalmente il candidato alla presidenza del loro partito. Ma il discorso è più ampio. A questo punto della competizione, infatti, i candidati hanno già battuto molti stati, hanno speso molti soldi, hanno già costruito la loro macchina organizzativa. E questa macchina organizzativa è chiamata a dare il massimo per il Super Tuesday. Si vota in dieci stati contemporaneamente e il candidato non può essere dappertutto: questo vuol dire innanzitutto saper trovare e adottare la giusta strategia, e avere abbastanza risorse per spostarsi in più luoghi possibile e saltare continuamente da una parte all’altra del paese. Dove il candidato non riesce ad andare, le campagne mandano uno dei cosiddetti surrogates: i politici celebri che lo sostengono. Romney ha una squadra di tutto rispetto, da John McCain a Tim Pawlenty a Nikki Haley e Chris Christie. Gli altri non ne hanno di altrettanto popolari e famosi. Negli stati che i candidati riescono a battere meno personalmente, acquisiscono più peso gli spot (e servono soldi per farli girare), il lavoro dei volontari (e servono macchine organizzative efficienti per sfruttarli al meglio) e l’atteggiamento della stampa (e serve sapienza e bravura per dettare l’agenda). E poi, naturalmente, serve avere delle buone proposte e sapere su quali puntare: dove puntare sull’economia e dove sui valori tradizionali, dove attaccare i propri avversari e su cosa. Il Super Tuesday, insomma, è la prova di forza finale per un candidato alle primarie: superarlo con successo non sempre assicura la vittoria – spesso sì – ma un risultato deludente assicura sempre la sconfitta.
A che punto siamo finora
I candidati repubblicani finora si sono misurati in 12 stati. Mitt Romney ha vinto in New Hampshire, Florida, Nevada, Maine, Arizona, Michigan, Wyoming e Washington, ottenendo a oggi 136 delegati certi (178 stimati aggiungendo quelli non vincolati). Rick Santorum ha vinto in Iowa, Colorado, Minnesota e Missouri, ottenendo 19 delegati certi (75 stimati). Newt Gingrich ha vinto solo in South Carolina, ottenendo fin qui 32 delegati (49 stimati). Ron Paul non ha vinto da nessuna parte e oggi ha 9 delegati (51 stimati). Il conteggio dei delegati non è semplicissimo: in alcuni stati si assegnano in modo proporzionale e in altri in modo maggioritario, alcuni sono vincolati a sostenere un candidato e altri no. Per ottenere la nomination servono 1144 delegati. Due cose sono evidenti, quindi: Romney è in grande vantaggio su tutti gli altri candidati, e non gli basterà vincere ovunque oggi per avere la certezza della nomination. Una sua significativa affermazione potrebbe dargli però un grande vantaggio politico, schiacciando la gara su di sé e rendendo inoffensivi i suoi avversari, già più deboli di lui sul fronte logistico ed economico.
Dove si vota, stato per stato
Georgia – 76 delegati
Non è solo lo stato che assegna più delegati tra quelli in gioco oggi: è soprattutto lo stato di casa di Newt Gingrich e quindi la sua ultima speranza. Spera di vincere e se possibile di stravincere: lui stesso ha detto che se questo non accadrà la campagna elettorale per lui è praticamente finita. Siamo a sud: oltre che da Romney, Gingrich dovrà difendersi anche da Santorum, il cui messaggio populista e religioso qui funziona bene. L’ultimo sondaggio CNN lo vede in vantaggio col 47 per cento, seguito da Romney col 24, Santorum col 15 e Paul col 9. I delegati si assegnano in modo cervellotico, qui come altrove: 31 si distribuiscono proporzionalmente tra i candidati che superano il 20 per cento, gli altri si distribuiscono collegio per collegio, dandone tre a chi ottiene la maggioranza assoluta (e dividendoli 2-1 ai primi due se nessuno ottiene la maggioranza assoluta).
Ohio – 63 delegati
Stato fondamentale, non solo per i molti delegati che mette in gioco ma anche perché è storicamente un cosiddetto “stato viola”: uno di quelli in bilico tra i democratici e i repubblicani, cruciale alle elezioni di novembre. L’Ohio è anche uno degli stati dove la situazione è più equilibrata: tutti gli ultimi sondaggi vedono Romney e Santorum praticamente pari. 48 delegati vengono distribuiti a chi prende più voti collegio per collegio, altri 15 vanno a chi ottiene una maggioranza assoluta a livello statale oppure distribuiti proporzionalmente tra i candidati che ottengono più del 20 per cento dei voti. Occhio: in tre collegi Santorum non è riuscito a presentare la documentazione necessaria a fare arrivare il suo nome sulla scheda.
Tennessee – 55 delegati
Anche questo è uno stato repubblicano e caratterizzato da un gran numero di credenti. Santorum è in leggero vantaggio nei sondaggi ma Romney ha avuto il sostegno del governatore, molto popolare. E anche Gingrich è messo bene. Questo è il posto in cui Santorum è costretto a vincere: se non riesce a farlo qui non riuscirà a farlo altrove. 27 delegati si distribuiscono collegio per collegio, tre per volta: chi ottiene due terzi dei voti li prende tutti, se no si dividono 2-1 tra i primi due. Altri 28 delegati vanno a chi ottiene i due terzi dei voti in tutto lo stato oppure divisi proporzionalmente tra i candidati che ottengono più del 20 per cento dei voti.
Virginia – 46 delegati
Qui c’è una situazione particolare: Santorum e Gingrich non sono riusciti a presentare in tempo le carte per la candidatura – segnale di debolezza – e quindi sulle schede appariranno solo i nomi di Romney e Paul. Il primo ha appena ricevuto il sostegno di Eric Cantor, influente deputato repubblicano di casa in Virginia, il numero due dello speaker Boehner. La Virginia conta molto perché è uno degli stati strappati da Obama ai repubblicani: lo ha vinto nel 2008 e prima di allora l’ultimo democratico a vincerlo era stato Lyndon Johnson nel 1964. Romney dovrebbe stravincere. 33 delegati vanno a chi prende più voti collegio per collegio. Gli altri vanno a chi ottiene una maggioranza assoluta a livello statale, oppure divisi proporzionalmente.
Oklahoma – 40 delegati
Qui la battaglia è tutta a destra – l’Oklahoma è uno degli stati americani più conservatori – e Santorum sembra nettamente quello messo meglio. 15 delegati si distribuiscono proporzionalmente collegio per collegio, altri 25 a chi ottiene una maggioranza assoluta nello stato oppure distribuiti proporzionalmente tra chi ottiene almeno il 15 per cento dei voti. L’Oklahoma è l’unico stato di oggi in cui si vota anche per le primarie democratiche (roba simbolica, Obama non ha sfidanti degni di nota).
Massachusetts – 38 delegati
È lo stato di cui Mitt Romney è stato governatore e quindi è chiamato a stravincere, anche perché gli altri candidati appaiono davvero troppo indigesti per l’elettorato repubblicano storicamente moderato (di uno degli stati più democratici d’America). I delegati si distribuiscono proporzionalmente tra i candidati che ottengono almeno il 15 per cento dei voti.
Idaho – 32 delegati
Qui sono caucus, non primarie, e questo vuol dire che Ron Paul è chiamato a fare bene: ha puntato tutto sui caucus fin dall’inizio, giustificando così i suoi brutti risultati nelle primarie. Romney però ha un vantaggio notevole: un quarto degli abitanti dell’Idaho sono mormoni come lui. Altra incognita: è la prima volte nella storia che i repubblicani in Idaho fanno caucus e non primarie, quindi non si possono fare previsioni su partecipazione e comportamenti degli elettori. Risultato aperto. I delegati vengono prima distribuiti ai vincitori dei caucus contea per contea – che cos’è un caucus? – e poi, se uno di questi ottiene così la metà più uno dei delegati, li prende automaticamente tutti e 32, se no si distribuiscono proporzionalmente.
North Dakota – 25 delegati
Ecco, il contrario del Massachusetts: uno degli stati più solidamente repubblicani del paese. E sono caucus anche qui, quindi Ron Paul deve fare bene. I delegati si assegneranno in modo proporzionale, senza troppi fronzoli aritmetici.
Alaska – 24 delegati
Lo stato di Sarah Palin, che doveva essere la protagonista di queste primarie e invece sapete come è andata a finire. Qui il messaggio anti-Stato di Ron Paul dovrebbe ottenere il massimo, e infatti Paul è stato l’unico dei quattro candidati a visitare fisicamente lo stato (inoltre parliamo anche qui di caucus, quindi è doppiamente chiamato a far bene). Sarah Palin finora non si è mai davvero sbilanciata ma più volte ha dato dichiarazioni di qualche sostegno a Newt Gingrich. Le regole però sono piuttosto tortuose: si fanno i caucus e si fa anche un “sondaggio” delle preferenze dei partecipanti ai caucus, e i delegati si assegnano secondo i risultati del sondaggio.
Vermont – 17 delegati
Come gran parte degli stati nordorientali è solidamente democratico e quindi Romney non dovrebbe avere grandi difficoltà (Santorum però non è completamente fuori gioco). 14 delegati vanno a chi ottiene la maggioranza assoluta dei voti: se nessuno ci riesce, si distribuiscono proporzionalmente tra chi supera il 20 per cento. Gli altri tre sono superdelegati e vanno al vincitore finale.
Come seguirlo
I primi risultati ad arrivare saranno quelli degli stati orientali, quando in Italia sarà l’una di notte. Da lì in poi arriveranno in successione intention poll, exit poll, proiezioni e poi i risultati dello spoglio, mentre i candidati uno alla volta prenderanno la parola per commentare i risultati. Si andrà avanti almeno fino alle cinque, probabilmente: in North Dakota i seggi chiuderanno quando in Italia saranno le quattro del mattino. CNN e Fox News seguiranno i risultati tutta la notte: si possono seguire in tv se avete una parabola o in streaming su Internet. I risultati aggiornati in tempo reale si troveranno su vari siti di news americani, i più chiari e aggiornati sono quelli del New York Times e di Talking Points Memo. Diversi giornalisti italiani seguiranno in diretta su Twitter lo spoglio del Super Tuesday, oltre a chi scrive questo articolo: tra questi probabilmente Andrea Marinelli, Mario Platero, Christian Rocca, Alessandro Tapparini, Andrea Mancia. Tra gli americani, consigliati Ben Smith, Nate Silver, Ryan Lizza e Mike Allen.
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foto: JIM WATSON/AFP/Getty Images