Chi sono i duri tra i “No Tav”
Valligiani, autonomi, anarchici e Askatasuna, "una scheggia degli anni Settanta arrivata intatta ai giorni nostri": l'analisi di Marco Imarisio sul Corriere della Sera
Sul Corriere della Sera di oggi Marco Imarisio prova a fare chiarezza nell’eterogenea galassia dei movimenti che si oppongono alla costruzione della cosiddetta ferrovia TAV, la linea ad alta velocità che metterà in comunicazione Torino con Lione. Ci sono i valligiani (che non sono solamente “un gruppo di maturi signori”), gli autonomi dei centri sociali (tra cui quelli di Askatasuna, “una scheggia degli anni Settanta arrivata intatta fino ai giorni nostri”) e gli anarchici (“da sempre l’area più misteriosa e insondabile, non solo in Val di Susa”).
La bandiera bianca dei No Tav doveva essere rossa. Nel 1999 i valligiani avevano scelto un colore, e un simbolo, con un forte segno politico. Furono i militanti di Askatasuna, proprio quelli che oggi mantengono un tratto ideologico più marcato all’interno del movimento, a convincere gli altri della necessità di una scelta più neutra.
Niente è come sembra, in questa storia dove ormai le distinzioni si fanno sempre più sottili. Lunedì scorso trenta persone si sono sedute sull’autostrada per impedire lo sgombero dell’autostrada. Accanto ad Alberto Perino, figura di riferimento della Val di Susa più intransigente, c’era Massimo Passamani, capo degli anarchici di Rovereto, diventato famoso nel 2006 per aver sottratto la fiamma olimpica al tedoforo che la portava per le strade di Trento, e non solo per quello. Nel dicembre 2009 alcuni membri del suo gruppo furono arrestati in Grecia dopo gli scontri avvenuti in seguito all’uccisione di uno studente da parte della polizia.
Questa commistione, magari involontaria, rende ancora più delicato l’equilibrio di un movimento che ha cambiato pelle, diventando un magma incontrollato. La divisione per categorie della sua parte più bellicosa va presa con beneficio di inventario, perché troppe sono ormai le incognite e i collegamenti interni di una protesta che rivendica l’unità di intenti in ogni sua scelta.
I valligiani
La prima manifestazione contro l’Alta velocità porta la data del 2 marzo 1995. Da allora è cambiato molto. Volti, proposte, e purtroppo anche le pratiche. Il nucleo originario è incarnato da Alberto Perino, bancario in pensione, incautamente definito come lo Josè Bove della Val di Susa, protagonista di una involuzione radicale che in qualche modo simboleggia la parabola di una parte di questo gruppo di militanti ben consapevole di essere minoranza a casa sua.
Gli abitanti che partecipano alle manifestazioni pacifiche sono circa 8.000 su un totale di 60.000 residenti in Alta e Bassa valle. Il numero si abbassa drasticamente quando si parla di scontri con le forze dell’ordine: 400-500 persone. Sempre determinati, decisi. La loro conoscenza del territorio li porta ad agire da sherpa per gli ospiti giunti da fuori. Nel 2005 furono decisivi per le sorti della cosiddetta battaglia di Venaus, quando riconquistarono il cantiere aperto nella notte dalle forze dell’ordine.
Forse fu quello l’ultimo episodio di lotta condotto quasi interamente in proprio. Ma non si pensi a un gruppo di maturi signori. Il sentimento valligiano di ribellione all’opera ha prodotto una generazione che ha elaborato una nuova forma di antagonismo radicale. Più aperta alla contaminazione con altre realtà, aggregata intorno a gruppi come il centro sociale Takùma di Avigliana, l’associazione Spinta dal bass, il presidio permanente Pikapera di Vaie. Capita spesso che i giovani della valle si rivelino come l’ala più radicale del movimento.
(Continua a leggere sulla rassegna stampa del Ministero della Difesa)