I soldi del petrolio iraniano
Gli Stati Uniti hanno bloccato un'operazione finanziaria con cui l'Iran avrebbe aggirato le sanzioni internazionali, grazie a una banca con sede negli Emirati Arabi Uniti
Negli scorsi giorni il ministero del Tesoro statunitense ha bloccato un’operazione finanziaria della Noor Islamic Bank, una banca con sede negli Emirati Arabi Uniti, a causa di un presunto legame con il commercio iraniano di petrolio, da tempo soggetto a sanzioni da parte degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali. Le sanzioni americane ed europee hanno lo scopo di contrastare l’avanzamento del programma nucleare iraniano. Secondo i paesi promotori delle sanzioni e l’Agenzia atomica delle Nazioni Unite, infatti, l’Iran starebbe investendo sulla ricerca nucleare per riuscire a produrre armi atomiche, mentre l’Iran, al contrario, afferma che le sue attività di ricerca hanno semplicemente scopi energetici e difende il proprio diritto alla produzione di energia nucleare.
L’Iran è il quinto produttore mondiale di petrolio e rappresenta una importante fonte di approvvigionamento per molti paesi europei, Italia compresa. Allo stesso tempo per l’Iran il commercio di petrolio è vitale, rappresentando la maggior fonte di entrate, una parte delle quali viene investita nel programma nucleare. Proprio per questo motivo nelle scorse settimane l’Unione Europea ha deciso di mettere sotto embargo il petrolio iraniano. Le sanzioni decise nei mesi scorsi dagli Stati Uniti, invece, tra cui si colloca l’operazione del ministero del Tesoro di questi giorni, colpiscono le società straniere che comprano petrolio iraniano e le banche sulle quali si appoggia l’Iran per continuare a vendere il proprio petrolio.
L’operazione che ha colpito la Noor Islamic Bank è particolarmente significativa e delicata. E non solo perché la banca è gestita dal figlio dello sceicco di Dubai, storico alleato degli Stati Uniti contro l’Iran, ma soprattutto perché gli Emirati Arabi Uniti, di cui Dubai fa parte, rappresentano un importante fronte nella campagna finanziaria statunitense contro l’Iran. Il giornalista americano Jay Salomon, che oggi ne parla sul Wall Street Journal, sottolinea come un elemento importante della vicenda sia il fatto che il coinvolgimento della Noor abbia ora concentrato l’attenzione americana sui rapporti dell’Iran con gli Emirati Arabi Uniti.
Tra le banche che sono state coinvolte dalla legge americana sulle sanzioni c’è anche la Halkbank, banca di proprietà dello stato turco, che nelle scorse settimane ha bloccato i propri affari in Iran per paura di essere coinvolta dalle sanzioni. La Turchia è uno degli stati più dipendenti dal petrolio iraniano, che rappresenta circa il 30 per cento del petrolio importato dalla Turchia. Proprio per questo la Turchia sta cercando di trattare con gli Stati Uniti per trovare un accordo che permetta alla Halkbank di continuare a fare affari con l’Iran.
Le sanzioni hanno un effetto molto pesante sull’economia iraniana. Secondo Morteza Masoumzadeh, dell’Iranian Business Council a Dubai, in seguito alle sanzioni degli ultimi anni il giro di affari annuo tra gli Emirati Arabi Uniti e l’Iran è diminuito dai 10-15 miliardi di dollari degli scorsi anni a circa 7 miliardi. Secondo Salomon, dunque, nel prossimo futuro l’Iran tenterà di allargare la propria rete di appoggio bancario verso Africa, America Latina e Asia centrale per riuscire a resistere economicamente alle sanzione statunitensi e all’embargo europeo.
La stretta occidentale sul petrolio iraniano sta inoltre causando un percepibile innalzamento del prezzo del petrolio, che sul mercato americano ha toccato negli scorsi giorni i 109 dollari al barile, picco degli ultimi nove mesi, generando aumenti del prezzo del carburante. Il peso delle sanzioni sul mercato iraniano, invece, si misura dalla costante svalutazione del Rial, la moneta iraniana.
Foto: (AP Photo/Hasan Jamali)