Chi guiderà la Banca Mondiale?
Entro aprile si dovrà scegliere il successore di Zoellick: sarà quasi sicuramente un altro americano, come tradizione, ma i paesi emergenti non ci stanno
Il presidente della Banca Mondiale, il 58enne statunitense Robert Zoellick, ha annunciato il 15 febbraio scorso che non si ricandiderà per un altro mandato. Si è aperta dunque la questione della sua successione: il mandato di Zoellich scade il 30 giugno ma il suo successore dovrà essere scelto entro il prossimo 22 aprile, tra meno di due mesi. La Banca Mondiale è un’istituzione internazionale che ha 187 paesi membri ed è stata creata nel 1945, il cui scopo è sostenere i paesi economici in via di sviluppo – al contrario del Fondo Monetario Internazionale, che si occupa dei paesi in crisi economica – garantendo prestiti a tasso agevolato, finanziando la costruzione di infrastrutture, programmi per la riduzione della povertà e per l’istruzione. La Banca Mondiale ha 10mila dipendenti ed elargisce in prestiti circa 45 miliardi di euro all’anno.
Una regola convenzionale e non scritta vuole che il presidente della Banca Mondiale sia americano, e così è da sempre, così come il presidente del Fondo Monetario Internazionale (FMI) sia europeo. D’altra parte la Banca Mondiale ha sede a Washington, è nata dagli accordi di Bretton Woods e soprattutto, ancora oggi, gli Stati Uniti sono il paese che contribuisce con la quota più alta al suo finanziamento, garantendo il 16 per cento dei fondi. Seguono, nell’ordine, il Giappone (con il 6,84%), la Cina (4,42%), Germania (4%), Regno Unito e Francia (entrambi con il 3,75%), India (2,91%), Russia (2,77%), Arabia Saudita (2,77%) e Italia (2,64%).
L’influenza degli Stati Uniti
La Banca Mondiale è considerata uno strumento diplomatico di grande importanza. In passato gli Stati Uniti hanno spesso fatto pressioni perché i suoi aiuti finanziari venissero concessi principalmente a paesi “amici” e non, invece, ai paesi coi rapporti peggiori con la Casa Bianca. È il caso, per esempio, della Birmania: gli Stati Uniti hanno bloccato per anni i prestiti della Banca Mondiale alla giunta militare fino alle recenti aperture scaturite poi nella storica visita del segretario di Stato Hillary Clinton. Oppure, in senso opposto, del Pakistan di Pervez Musharraf e poi di Ali Zardari, in quanto alleato fondamentale degli Stati Uniti dopo l’11 settembre (e prima che l’uccisione di bin Laden portasse al rapido deterioramento dei loro rapporti).
L’opposizione dei paesi emergenti
A questo giro, il problema è che i paesi emergenti, soprattutto Cina, Brasile, India e Turchia, rivendicano un ruolo più importante e chiedono di essere consultati. Una cosa del genere già era successa con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), quando si era trattato di sostituire Dominique Strauss-Kahn e gli stessi paesi emergenti avevano provato a rompere il monopolio di un presidente europeo, senza successo.
Stavolta però l’opposizione dei cosiddetti BRICS sembra più forte. La Cina è il paese che si è dimostrato più critico dell’attuale status quo, anche perché, paradossalmente, oggi presta per conto suo ai paesi in via di sviluppo più denaro di quanto faccia la Banca Mondiale. Il ministero degli Esteri cinese ha già fatto sapere che l’elezione del presidente della Banca “dovrà basarsi sui principi del merito e di una competizione aperta e giusta”.
Come verrà scelto il prossimo presidente della Banca Mondiale
L’elezione del prossimo presidente della Banca Mondiale prevede l’invio delle candidature fino al 23 marzo. Come ha scritto la Banca in un recente comunicato, il candidato dovrà dimostrare di avere qualità di “leadership”, “esperienza nella gestione di grandi organizzazioni internazionali”, “imparzialità”, “ottime doti comunicative”, “familiarità con il settore pubblico”. Dopo aver ricevuto tutte le candidature, la dirigenza della Banca Mondiale sceglierà i tre candidati migliori che saranno chiamati a un colloquio con la dirigenza, tra i quali verrà scelto il Presidente. La Banca ha promesso che i suoi criteri di scelta saranno basati “sul merito e sulla trasparenza”.
I possibili candidati americani
Gli Stati Uniti hanno fatto sapere che sceglieranno il proprio candidato “nelle prossime settimane”. Per ora si ragiona nel campo delle ipotesi. In questo momento i nomi che si fanno sono, tra gli altri: Lawrence Summers, ex direttore del Consiglio Economico Nazionale americano; Timothy Geihner, attuale ministro del Tesoro statunitense; Susan Rice, oggi ambasciatore degli Stati Uniti all’ONU; Lael Brainard, oggi sottosegretario al Tesoro americano; Laura d’Andrea Tyson, altro ex direttore del Consiglio Economico Nazionale americano.
Gli outsider
Una soluzione di compromesso potrebbe essere Mohamed El-Erian, amministratore delegato di PIMCO, il maggiore fondo obbligazionario al mondo, che ha tre nazionalità: francese, egiziana e soprattutto statunitense. Qualora la consuetudine della nomina di uno statunitense dovesse essere superata, il nome che si fa in questo momento è quello di Muhammad Yunus, economista e banchiere bengalese che ha vinto il Premio Nobel per la Pace nel 2006 e che è stato un pioniere del cosiddetto “microcredito“, i prestiti a poveri e piccole imprese basati sulla fiducia e non sulle garanzie che offre chi riceve il finanziamento. Yunus di recente è stato accusato di irregolarità nella gestione della sua Grammeen Bank.
foto: Brendan Smialowski/Getty Images