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  • Lunedì 27 febbraio 2012

Armare i ribelli siriani?

Lo ha scritto oggi Roger Cohen sul New York Times, Arabia Saudita e Qatar sono favorevoli, tre importanti senatori americani lo hanno chiesto a Obama

Armed Free Syrian Army rebels gather in the north Syrian city of Idlib on February 16, 2012. Syrian armour moved on the main hubs of an 11-month uprising with at least 22 killed in clashes, monitors said, a day after President Bashar al-Assad set a vote for a new constitution. AFP PHOTO/STR (Photo credit should read -/AFP/Getty Images)
Armed Free Syrian Army rebels gather in the north Syrian city of Idlib on February 16, 2012. Syrian armour moved on the main hubs of an 11-month uprising with at least 22 killed in clashes, monitors said, a day after President Bashar al-Assad set a vote for a new constitution. AFP PHOTO/STR (Photo credit should read -/AFP/Getty Images)

Mentre in Siria continua la repressione da parte del regime e la città di Homs viene bombardata dai soldati di Assad per il 24esimo giorno consecutivo, l’ipotesi di armare i ribelli siriani continua a farsi strada nell’opinione pubblica e nella comunità internazionale. Lo scorso venerdì era stata sostenuta dall’Arabia Saudita, oggi ha ottenuto anche l’approvazione del Qatar. Alcuni membri del Consiglio nazionale siriano – una sorta di governo in esilio costituito dagli oppositori del regime – hanno detto di non avere niente in contrario rispetto alla possibilità che paesi stranieri possano armare o addestrare l’esercito siriano di liberazione, cioè i ribelli che combattono i soldati di Assad.

(Il reportage di Jonathan Littell sulla rivoluzione e la repressione in Siria)

I senatori statunitensi John Mc Cain e Lindsey Graham, repubblicani, e l’indipendente Joe Lieberman, tra i più esperti in politica estera, hanno invitato il governo americano ad armare i ribelli per difendersi dal regime di Assad, che oltre all’esercito e ai cecchini ha schierato contro i civili anche l’aviazione, e che secondo varie testimonianze prende di mira in modo brutale e indiscriminato i civili e non solo i combattenti. McCain ha invitato il governo americano ad addestrare ed equipaggiare i ribelli, oltre a fornire loro armi, soldi e intelligence. «Le persone che vengono massacrate devono avere la possibilità di potersi difendere», ha spiegato. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama non si è ancora pronunciato su questa possibilità. Il segretario di Stato Hillary Clinton ha avanzato alcuni dubbi sull’efficacia della proposta, spiegando che le armi potrebbero cadere nella mani di terroristi e criminali. In Libia, a fronte degli stessi rischi, dopo la risoluzione dell’ONU molti paesi decisero di addestrare e fornire armi ed equipaggiamenti ai rivali di Gheddafi.

La necessità di armare i ribelli viene sostenuta oggi dall’editorialista Roger Cohen sul New York Times. Secondo Cohen la situazione in Siria non può che peggiorare, e qualsiasi risoluzione sensata del conflitto non può che passare attraverso un riequilibrio delle forze in causa. Cohen spiega che la Siria ricorda altri stati multi-etnici tenuti insieme dal pugno di ferro di una minoranza, come la Jugoslavia o l’Iraq: quando il governo centrale inizia a vacillare, le varie etnie cercano di affermare la propria indipendenza sgretolando lo stato e in molti casi trascinandolo nella guerra civile.

In Siria la maggioranza sunnita viene governata dagli alawiti, una minoranza sciita, affiancati da cristiani e drusi che compongono insieme circa un quarto della popolazione del Paese. Tra loro predomina la famiglia Assad, che ha governato lo stato come fosse un feudo personale, ignorando completamente le esigenze dei cittadini. Dopo l’inizio delle proteste e la conseguente oppressione, spiega Cohen, la compattezza sociale è andata perduta e sono entrati in gioco gli interessi di forze più grandi: il regime di Assad viene sostenuto dalla teocrazia iraniana sciita, che cerca di imporsi come potenza della regione e che viene avversata dalla maggior parte degli stati arabi, sunniti e schierati con il Consiglio nazionale siriano.

Secondo Cohen gli Stati Uniti devono prendere in mano la situazione e sostenere i ribelli come avvenuto in Libia, addestrandoli e inviando loro armi, così da riequilibrare le parti in causa, fermare il massacro dei civili e affrettare la fine di Assad. I membri delle forze speciali possono entrare in Siria passando da stati confinanti – come l’Iraq – e addestrare quella che al momento è solo una confusa accozzaglia di volontari. Gli Stati Uniti, secondo Cohen, dovrebbero anche garantire un cordone sanitario per permettere ai rifugiati di fuggire in Turchia e in Giordania e in altre zone sicure, e fare pressioni costanti su Cina e Russia perché condannino la repressione di Assad, come accaduto finora.

Molti analisti obiettano che armare i ribelli possa peggiorare la situazione e ricompattare le minoranze al potere contro i sunniti, intensificando i massacri e minando i fragili tentativi diplomatici di Kofi Annan, inviato della Lega Araba e dall’ONU per riportare la situazione sotto controllo nel Paese. Cohen spiega invece che l’unico modo per non imporre una tregua fasulla nel Paese è dare pari potenza a entrambe le parti e bilanciare le forze. Inoltre, secondo Cohen dare potere ai ribelli aumenterà anziché indebolire il potere contrattuale di Annan. Cohen spiega anche che indebolire la Siria e velocizzare la caduta del regime aiuterà a arginare e colpire anche l’Iran: i due Paesi sono alleati tra loro ed è attraverso la Siria che l’Iran finanzia Hezbollah in Libano, mantenendo la sua presa anche su quel Paese e consolidando la sua influenza nella regione. Armare e addestrare i ribelli siriani – conclude Cohen – è sicuramente meno dispendioso e rischioso che bombardare le centrali nucleari iraniane.

Fotografie da Homs

Foto: AFP/Getty Images