7 canzoni di Johnny Cash
Era nato ottant'anni fa, divenne un monumento del country negli USA e poi del rock in generale nel resto del mondo, quando era già vecchio
Oggi avrebbe compiuto 80 anni Johnny Cash, formidabile voce della musica country-rock americana, che godette di un rinnovato successo negli ultimi anni della sua vita (e poi fu celebrato anche in un film hollywoodiano). Questo era quello che ne scrisse Luca Sofri, il peraltro direttore del Post, nel suo libro Playlist, scegliendone sette canzoni.
Johnny Cash
(1932, Kingsland, Arkansas – 2003, Nashville,Tennessee)
Diventò vecchio che era un monumento del country, e sconosciuto al resto del mondo: benché il suo country fosse di influenze blues e rock assai più strutturate del solito country da barzelletta. Però fu riscoperto alla fine del secolo scorso grazie a un produttore che intuì che aveva ancora molto da dire e cantare anche fuori dal country, e poi fu reso universale da un film hollywoodiano: così adesso è johnnycash per tutti.
Born to lose
(The Original Sun Sound of Johnny Cash, 1964)
Nato perdente, e ora sto perdendo te. Una vecchia canzone già esaltata da Ray Charles, qui con i ritmetti e i coretti.
It ain’t me babe
(Orange Blossom Special, 1965)
June Carter conobbe Johnny Cash all’inizio degli anni Cinquanta. Lo sposò nel 1968. Fu una cantante country prima di lui, ma anche un’attrice e autrice di canzoni e testi teatrali. Il matrimonio con Cash durò 35 anni: lei morì il 15 maggio 2003, lui quattro mesi dopo. Nel 1965 avevano cantato assieme questa canzone di Dylan, smentendola nei fatti nei decenni successivi.
A thing called love
(A thing called love, 1972)
Sono rari i momenti in cui una persona normale per un attimo accarezza con piacere l’idea di trovarsi in un locale country e attaccare un coro con un boccale di birra in mano e gli stivaloni texani a i piedi. A me capita quando parte il ritornello di “A thing called love”:
“Can’t see it with your eyes, hold it in your hands
Like the rules that govern our land
Strong enough to rule the heart of every man, this thing called love”
Bird on a wire
(American recordings, 1994)
Nel 1993 Johnny Cash fu reinventato dal geniale produttore Rick Rubin, che gli offrì – la sua carriera era piuttosto pensionata – di incidere un disco di cover, con titoli estranei al suo repertorio tradizionale. Insieme fecero cinque raccolte di grande successo presso la critica e che rimisero Cash al centro della scena rock. Questa era di Leonard Cohen.
Solitary man
(American III: Solitary man, 2000)
Tra le cose migliori di quei tempi, sta anche una cover di Neil Diamond, che pare scritta molto più per i panni di Cash e la sua eterna immagine di dignitosa sofferenza.
The first time ever I saw your face
(American IV, 2002)
Vecchia grandissima canzone di Ewan McColl, celebre in una stupenda versione di Roberta Flack. Ma in gola a Johnny Cash diventa una cosa che in effetti meritava di provarci.
If you could read my mind
(American V, 2006)
Questa era di Gordon Lightfoot, un signore canadese che oggi ha settant’anni e che nella seconda metà del secolo scorso scrisse mucchi di canzoni per gli altri e per se stesso. Parlava del suo divorzio e arrivò al quinto posto delle classifiche americane. Lightfoot denunciò anni dopo gli autori di “Greatest love of all” (quella poi diventata famosa nella versione di Whitney Houston), per il preteso plagio di un passaggio della canzone, che suona molto simile.