Ritratto di Enrico Rossi
Claudio Cerasa sul Foglio parla del governatore della Toscana e delle sue critiche nei confronti del governo Monti, che raccontano anche le fratture all'interno del PD
Enrico Rossi ha 53 anni e dal 2010 è il presidente della regione Toscana. Fa parte del Partito Democratico, dopo essere stato dirigente del Partito Comunista. Nel PD è noto per avere posizioni particolarmente “a sinistra” e critiche del progetto iniziale e veltroniano: e per essere molto critico nei confronti del governo Monti. Oggi Claudio Cerasa ne ha scritto un lungo ritratto sul Foglio.
L’uomo che fustigava i tecnici ha 53 anni, ha le spalle larghe, un sorriso timido e due occhi piccini incastonati in un faccione grande: liscio e senza rughe. L’uomo che fustigava i tecnici governa da due anni una delle regioni più ricche (e più rosse) d’Italia, è stato a lungo sindaco di Pontedera, è stato a lungo assessore alla Sanità della Toscana, è stato a lungo uno dei dirigenti del Pci più apprezzato dalla famiglia Agnelli; e prima di diventare uno degli esponenti del Pd più smaliziati, più spregiudicati, più in ascesa e più amati dalla vecchia e nuova intellighenzia di sinistra (vi dice nulla Carlo De Benedetti?) è stato a lungo uno dei classici simboli del “buon amministratore locale”: uno insomma di quei tradizionali sobri, misurati, tosti e ruvidi comunisti “tutti d’un pezzo”, come si dice in questi casi, uscito, come molti altri, dalla vecchia catena di montaggio dirigenziale del Partito comunista. Negli ultimi tempi, però, Rossi – che i simpatizzanti chiamano con affetto “il rottamatore rosso” e che gli antipatizzanti invece chiamano quasi con disprezzo “il Vendola del Pd” – è diventato qualcosa di più di un semplice buon amministratore o di un semplice e apprezzato presidente di regione. È diventato, a tutti gli effetti, il simbolo di un nuovo Pd. Di un Pd alternativo a quello “sdraiato” sul governo. Di un Pd alternativo a quello “suicida” del Lingotto. Di un Pd che prova a riscrivere il suo Dna sul modello del Pse. E di un Pd, insomma, orgoglioso della sua identità più di sinistra che di centro, e che sotto il mantello del clima da grande sobrietà nazionale, lontano dal Palazzo, dai forconi e dalle stanze di governo, silenziosamente si muove per rimanere aggrappato con gli artigli alla sua vera “base”: “Al nostro popolo, suvvia, che è quello di sinistra, e c’è poco da fare, e c’è poco da girarci attorno. Ché noi non siamo l’Udc. Siamo il Pd, siamo un’altra cosa”.
(continua a leggere sul sito del Foglio)