L’Italia condannata per i respingimenti
La Corte europea per i diritti umani ha sanzionato il primo respingimento di migranti in mare, quello del maggio 2009: l'Italia dovrà risarcire 22 eritrei e somali
La Corte europea per i diritti umani ha condannato l’Italia, stabilendo che ha violato i diritti di un gruppo di migranti eritrei e somali che nel 2009 erano stati respinti in Libia, da dove erano partiti, contro la loro volontà, senza essere identificati (alcuni avrebbero potuto avere diritto di asilo), senza essere informati sulla loro destinazione, dove sarebbero potuti essere perseguitati, torturati o uccisi. I 13 eritrei e 11 somali – due di loro sono morti, nel frattempo – facevano parte di un gruppo di 200 persone che era salpato dalla Libia su tre barche.
Secondo la Corte l’Italia ha violato l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura, e per questo dovrà pagare un risarcimento danni di 15.000 euro a ciascun migrante. Gli accordi con la Libia sui respingimenti, sottoscritti nel 2008, sono venuti a cadere con la fine del regime di Gheddafi. Simone Spetia, giornalista a Radio24, scrive di avere contattato Andrea Saccucci, avvocato e docente di diritto internazionale che ha assistito alcuni dei ricorrenti, secondo cui “tutti i migranti che siano stati vittime di respingimenti potranno presentare ricorso a Strasburgo o agli organi giurisdizionali italiani. Con la quasi certezza di vincere”.
Un giornalista francese di Paris Match, François de Labarre, si trovava a bordo del guardiacoste e scrisse di quel respingimento in un reportage eccezionale, poi tradotto in italiano da Internazionale. A bordo c’era anche il fotografo Antonio Dagnino, che sarà poi premiato per le foto scattate.
La scaletta! Per lasciare il gommone in panne bisogna afferrare questo pezzo di ferraglia attaccato alla fiancata della nave. Intanto il gommone continua a sgonfiarsi e a ondeggiare, sbattendo contro l’imbarcazione della guardia di finanza. Questa scaletta è la strada più breve tra l’Africa e l’Europa, tra la miseria e la speranza. In fondo al gommone alla deriva c’è una ragazza stremata e immobile, di cui si vedono solo gli occhi spalancati per il terrore.
Gli spintoni per salire sulla scala, la lotta per uscire dal relitto: quest’abbordaggio della disperazione ha qualcosa di dantesco. È terribile anche per i marinai del Bovienzo, che non sono certo al primo salvataggio in mare. “Aspettate, uno alla volta!”, grida uno di loro. Gli ordini del comandante Christian Acero non ottengono nulla di più. Ma che disciplina ci si può aspettare dai sopravvissuti? La sua voce roca è coperta dal rumore di un elicottero che sorvola la zona. Acero è esasperato: “Ma quando se ne va?”. Un membro dell’equipaggio picchia con il manganello sulle sbarre della scaletta per far capire ai naufraghi che non devono attaccarsi tutti insieme. Ma loro se ne fregano: è il mare che fa paura, non gli uomini e i manganelli. Cercano di salire come meglio possono, gli uni sugli altri, rischiando di cadere in mare e affogare. L’angoscia si impadronisce dell’equipaggio del Bovenzio.
I primi naufraghi che arrivano a bordo si mettono a sedere contro il telo del pozzetto cercando di stendere le gambe. Hanno il fiato corto e le braccia che tremano. Saud Adill rimane un momento immobile, poi crolla. Si avvicina piangendo ad Amal, un suo amico, anche lui scampato al naufragio. Amal lo abbraccia e lo stringe a sé. Adill ci guarda, le sue labbra tremano. “Acqua”, chiede Amal. Gli diamo una bottiglia. Con delicatezza bagna Adill, poi la bottiglia passa di mano in mano. In pochi secondi è vuota. Intanto i naufraghi continuano a invadere il ponte. Quanti sono? Dieci, venti, trenta. E continuano a salire. I marinai ordinano agli altri di stringersi per fare posto. Alla fine sono 68. A poppa ci sono altre dodici donne.
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foto: Tullio M. Puglia/Getty Images