Scene di evasione fiscale a Bologna
Il racconto di cinque studenti che hanno provato a opporsi al sistema degli affitti in nero, e hanno perso
Bologna è famosa per l’università che attira tanti studenti da ogni parte dell’Italia e del mondo. Lo è meno per l’estensione dell’evasione fiscale praticata dai proprietari degli appartamenti affittati in nero agli studenti.
Funziona così: il padrone di casa stabilisce un rapporto di fiducia con un tramite, potremmo definirlo un ospite–esattore, che, pattuita una tariffa a posto letto o a camera, si incarica di raccogliere mensilmente l’affitto dagli altri ospiti. A volte paga regolarmente come gli altri ragazzi, a volte fa valere una sorta di diritto del primo arrivato per cui pratica agli altri un affitto maggiorato per ricavarne un suo vantaggio economico. La proprietà chiude un occhio così l’OE (ospite-esattore) è sempre motivato a tenere occupate tutte le camere e gli garantisce una certa costanza del reddito ricavato dall’appartamento. Niente seccature dei rapporti diretti con gli studenti, e tutto rigorosamente in nero. La garanzia di impunità è un finto contratto di comodato gratuito tra la proprietà e l’OE.
La legge nota come “cedolare secca” (D. Lgs. 23/2011), che cerca di favorire l’emersione dei redditi reali da fabbricato, contiene (art. 3) una norma che cerca di mettere fine a situazioni del genere dando facoltà all’inquilino al nero di recarsi autonomamente all’Agenzia delle Entrate e stipulare un normale contratto 4+4 anni, anche senza il consenso del proprietario evasore. Il premio per la regolarizzazione è una sensibile diminuzione dell’affitto, che viene calcolato secondo la rendita catastale dell’immobile. La legge prende in considerazione la difficoltà di dimostrare il pagamento al nero, schierandosi dalla parte del più debole. Il comune di Bologna è in prima linea in questa campagna anti-evasione e noi siamo stati tra i primi, se non i primi, ad aver agito in tal senso.
Siamo cinque studenti, appartenenti al gran numero dei vessati da proprietari e intermediari che speculano sulla mancanza di alloggi pubblici destinati agli studenti universitari. Siamo andati all’Agenzia delle Entrate muniti dei documenti che dimostrano la nostra posizione di “ospiti paganti” di un appartamento privato e abbiamo stipulato contratti di affitto individuali come stabilito dalla legge.
Firmati i contratti (con relativo esborso delle tasse di registrazione non pagate), con curiosa sincronia – nello stesso giorno – la proprietà sporge querela per appropriazione indebita d’immobile verso ignoti, qualificandoci come “sconosciuti abusivi”.
Siamo allora andati in causa forti del nostro diritto: ma il giudice con provvedimento immediato ha brutalmente ordinato il rilascio dell’appartamento (entro una settimana): senza tenere in considerazione l’evasione fiscale in corso dal 2008, senza considerare il nostro nuovo contratto regolare, senza considerare i bonifici di pagamento al tramite, basandosi esclusivamente sulla mancanza di prove di pagamento diretto tra noi e la proprietaria. Ma il canone in nero è illegale e non rintracciabile per definizione. L’articolo 3 della “cedolare secca” è stato creato apposta per questo.
È finita che siamo stati messi fuori casa da un momento all’altro in periodo di corsi e di esami per aver denunciato un illecito. Nell’atto giudiziario, la proprietaria afferma di aver ceduto gratuitamente un grande appartamento in pieno centro a Bologna al figlio di un amico del suo agente immobiliare, stante l’impossibilità a vendere a causa della stagnazione del mercato in quel periodo (la famosissima crisi immobiliare bolognese del 2008…) e che non ci sarebbero stati pagamenti di canone.
La nostra versione è invece questa.
Stanchi delle “particolari” quanto ambigue modalità di pagamento ci eravamo rivolti a un’associazione che si occupa di promuovere la campagna contro gli affitti in nero, per chiedere informazioni sui rischi e le opportunità della nuova legge che avevamo noi stessi consultato via internet. L’associazione ci aveva consigliato la denuncia e prospettato uno scenario senza alcun pericolo per noi (“siete protetti dallo Stato… è una campagna contro l’evasione fiscale che si basa su una legge e su un vostro diritto… pagheremo noi anche le spese legali in caso di causa civile”).
Il ragazzo “tramite”, l’OE, all’estero in Erasmus fino a ottobre 2011, era titolare di un contratto di comodato d’uso gratuito (cioè: la proprietaria “regala” per 4 anni l’appartamento in centro a Bologna a un ragazzo semisconosciuto) palesemente finalizzato all’evasione fiscale: un canone mensile veniva pagato alla proprietaria fin dal 2008.
Uno di noi aveva conosciuto personalmente la proprietaria – o chi si qualificava come tale – che veniva direttamente in casa a prelevare l’affitto. In seguito effettuavamo bonifici bancari (provati) all’OE, il quale evidentemente girava i soldi alla proprietaria.
Decisi ad avvalerci dell’articolo 3 della “cedolare secca” avevamo cercato di coinvolgere nella nostra azione anche il ragazzo “tramite” (OE), che però aveva rifiutato di collaborare con noi. Il 7 novembre siamo andati all’Agenzia delle Entrate. Come per miracolo, in poche ore, eravamo diventati titolari di un contratto regolare, dopo aver pagato una ragionevole quota di tasse di registro arretrate.
Ma la nostra proprietaria di casa, venuta a conoscenza della situazione dal nostro “tramite”, aveva sciolto il contratto di comodato e denunciandoci il giorno stesso per violazione di domicilio e appropriazione indebita di immobile. Nella denuncia depositata in caserma dei carabinieri afferma di aver ricevuto una telefonata dal ragazzo-tramite che, tornato dall’Erasmus, dichiarava di aver trovato nell’appartamento 5 persone a lui sconosciute che lo occupavano illegalmente.
I carabinieri, due giorni dopo, erano venuti a controllare se ci fossero o meno segni di effrazione in casa: li abbiamo accolti un po’ increduli e un po’ preoccupati spiegando sul momento tutta la situazione. Non hanno trovato niente e sono andati via – tra l’altro le porte dei due appartamenti insistenti sul pianerottolo sono dotate di cancellate in ferro ed è difficile pensare che potessimo aver forzato il cancello senza lasciare tracce. La mattina seguente siamo stati chiamati in caserma. Dove ci era stata gentilmente prospettata la possibilità di “un accordo” con la proprietaria, alle sue condizioni, che avevamo rifiutato.
Le nostre famiglie, nelle rispettive città, ricevettero allora una lettera dai toni minacciosi dal legale della proprietaria: se non ce ne fossimo andati ci sarebbero state migliaia di euro da pagare e addirittura il carcere. A quel punto l’associazione che ci aveva consigliato fino ad allora, dopo averci chiesto una donazione (di circa 1300 euro), ci mise in contatto con un legale.
Il processo si è concluso in un’udienza, come abbiamo detto, dopo una serie di testimonianze e versioni contraddittorie da parte della proprietaria e dell’OE e il rifiuto di ascoltare i testimoni della difesa: già il giorno dopo una e-mail di un rigo ha comunicato al nostro avvocato che avremmo dovuto lasciare immediatamente l’appartamento, dando la possibilità alla proprietaria di averne completa disponibilità.
Adesso abbiamo pochi giorni per decidere se presentare ricorso e impedire che il provvedimento (che implica anche il pagamento di circa 2000 euro di spese legali) diventi immediatamente esecutivo, con le complicazioni, i rischi e la disillusione conseguenti a questa esperienza.
Giulia, Edoardo, Greta, Francesco, Emanuele