A che punto è il caso Enrica Lexie
I militari italiani si sarebbero consegnati alle autorità indiane per via di un tranello, e arrivano prove della presenza di pirati mercoledì nel mar Arabico
Il caso dei due marinai italiani fermati in India si arricchisce di nuovi particolari e sembra sempre più complicato. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono due militari italiani del reggimento San Marco, mercoledì scorso si trovavano a bordo della nave italiana “Enrica Lexie” e sono accusati di aver ucciso nel mar Arabico due pescatori indiani scambiati per “pirati”. Sono ancora in stato di fermo e sono stati interrogati dalle autorità indiane dello stato del Kerala. Resteranno in custodia cautelare per altri 14 giorni, poi dovrebbero essere sottoposti a processo. In caso di condanna i due italiani rischiano anche la pena di morte. I nazionalisti indù e comunisti indiani del Kerala, tra l’altro già in campagna elettorale, chiedono la loro condanna e minacciano di bloccare la “Enrica Lexie” qualora venissero rilasciati.
La nave greca “attaccata dai pirati”
Ieri si è avuta la conferma che una nave greca, la “Olympic Flair”, avrebbe subìto un attacco da parte di pirati vicino alle acque internazionali dove sono stati uccisi i pescatori. Lo ha confermato il Dipartimento crimini commerciali della Camera di commercio internazionale che traccia gli attacchi di pirateria nel mondo. Questo particolare contrasta con la versione della Guardia Costiera indiana, che ha sempre smentito la presenza di pirati al largo del Kerala e che, secondo la versione dei greci, ha ignorato l’allarme lanciato dalla “Olympic Flair”. «Gli incidenti sono stati almeno due in quella zona di mare a orari diversi», ha dichiarato il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi. Mercoledì ci sarebbero state quindi in quella zona barche di pirati, che avrebbero attaccato più navi.
La versione dell’Italia e quella dell’India
I due marinai italiani, Latorre e Girone, hanno detto di aver sparato una ventina di colpi in acqua e in aria per allontanare la St. Antony ma di non avere sparato a bordo, quindi di non avere ucciso i due pescatori, Valentine Jalastine e Ajeesh Pinku. Le autorità indiane accusano gli italiani dell’omicidio e sostengono che questo sia avvenuto nelle acque sotto la giurisdizione indiana. L’Italia dice che i colpi sono stati sparati in acque internazionali e che quindi quanto accaduto ricade sotto la giurisdizione italiana.
Perché la Enrica Lexie ha attraccato in India?
Se, come sostengono gli italiani, la “Enrica Lexie” si trovava mercoledì in acque internazionali, sembra strano che si sia consegnata alle autorità indiane attraccando al porto di Kochi. Repubblica ha cercato di ricostruire i fatti avvenuti in quelle ore. Al largo del Kerala c’erano, oltre alla “Enrica Lexie”, la petroliera gemella “Kamome Victoria”, la nave cisterna italiana “Giovanni” e un’altra nave, la “Ocean Breeze”. L’equipaggio della St. Antony, rientrata sulle coste indiane con i corpi dei due pescatori uccisi, ha segnalato alla Guardia Costiera indiana l’accaduto, fornendo però solo una descrizione parziale della nave che li avrebbe attaccati.
Allora la Guardia Costiera indiana ha chiamato le quattro navi nella zona che si avvicinavano alla descrizione dell’equipaggio della St. Antony e ha chiesto, con un trucco: “Abbiamo trovato un peschereccio con armi a bordo, avete per caso subito un attacco?”. L’unica ad aver risposto di sì è stata la “Enrica Lexie” che si è detta disponibile a collaborare con gli indiani per riconoscere il peschereccio e dunque “i pirati”. Così la nave italiana ha deciso di attraccare a Kochi per questi “accertamenti”. Le cose invece, come si è visto, sono andate poi in tutt’altro modo.
Altre cose che ancora non tornano
I corpi dei pescatori uccisi, secondo le autorità indiane “crivellati di colpi”, sono stati già sepolti e su di loro non è stata predisposta nessuna autopsia. Inoltre si cerca ancora l’arma con la quale Latorre e Girone avrebbero ucciso i due pescatori, che sarebbe stata chiusa a chiave in un cassetto della nave. La polizia indiana è in attesa di un mandato di perquisizione della “Enrica Lexie” per salire a bordo con i due accusati e “prendere possesso delle armi”.
Perché i militari si trovavano sulla petroliera
L’11 ottobre 2011 il Ministero della Difesa e la Confitarma, Confederazione Italiana Armatori, hanno firmato un protocollo di intesa che permette agli armatori le cui navi si trovano nelle aree marittime considerate a rischio (l’area a largo del corno d’Africa in particolare) di richiedere – ovviamente a proprie spese – la presenza di un Nucleo militare di protezione, composto da sei uomini equipaggiati e addestrati per missioni di questo tipo. Per questo Massimiliano Latorre e Salvatore Girone erano sulla Enrica Lexie. Queste squadre militari hanno come regola di ingaggio l’autodifesa e possono sparare raffiche di avvertimento in aria o in ogni caso a distanza di sicurezza dall’imbarcazione sospetta.
nella foto, da sinistra, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone (AP)