Israele può davvero attaccare l’Iran?
Che cosa comporterebbe concretamente un attacco: molte risorse, molte armi, molti rischi
Da settimane si discute con maggiore concretezza rispetto al passato della possibilità che Israele attacchi militarmente l’Iran, e soprattutto i suoi reattori nucleari, al fine di ostacolare se non boicottare del tutto i suoi tentativi di dotarsi di armi atomiche. L’editorialista del Washington Post David Ignatius due settimane fa ha scritto che il ministro della Difesa americano Leon Panetta è convinto che «è molto probabile che Israele attacchi l’Iran in aprile, maggio o giugno». I membri dell’amministrazione Obama non fanno altro che invitare Israele ad avere pazienza. E lo scenario di un attacco non pare implausibile almeno a basarsi sui precedenti: nel 2007 Israele bombardò il reattore nucleare di Kibar, in Siria, e nel 1981 fece lo stesso con quello di Osirak, in Iraq. Questo scenario è naturalmente molto temuto dalla comunità internazionale, così come si teme il programma nucleare iraniano: lo scorso novembre l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) dell’ONU ha diffuso un rapporto allarmante sui risultati raggiunti dall’Iran nella progettazione di armi nucleari.
Il New York Times oggi analizza la questione dal punto di vista concreto, militare, spiegando nel dettaglio quali sono i problemi principali che dovrebbe affrontare l’aviazione israeliana per fermare il programma nucleare iraniano.
Distanza e rotte
In caso di attacco, ci sarebbe innanzitutto il problema della notevole distanza tra Israele e Iran. Per quanto riguarda le rotte ci sarebbero tre possibilità: la prima, la più lunga e dispendiosa, prevede il passaggio degli aerei sulla Turchia, evitando la Siria, passando inizialmente sul Mar Mediterraneo; la seconda prevede il passaggio su Arabia Saudita e brevemente su Giordania e Kuwait, mentre per la terza si dovrebbero attraversare gli spazi aerei di Giordania e Iraq.
fonte: The New York Times
Quest’ultima ipotesi sembra la più probabile. È la rotta più breve, la Giordania non dovrebbe opporre troppe resistenze al passaggio degli aerei da guerra israeliani e l’Iraq, il cui spazio aereo non è più protetto dagli Stati Uniti, non ha le difese necessarie per opporsi. Nonostante questa “scorciatoia”, il problema però resta la lunga distanza tra Israele e Iran. L’attacco prevederebbe un viaggio per ogni singolo aereo, tra andata e ritorno, di oltre 3.200 chilometri. Una distanza che i caccia israeliani, ossia gli F-15I e gli F-16I, non riescono a coprire con un pieno. Senza contare che in una missione del genere gli inconvenienti, come la probabile reazione della contraerea iraniana, sono sempre possibili.
Il problema del rifornimento degli aerei
C’è dunque anche un problema di rifornimento degli aerei, anche questo non facile da risolvere. Israele ha solo otto aerei da rifornimento americani KC-707 (una versione modificata del Boeing 707). A questo punto, allora, Israele potrebbe riconvertire altri aerei, e non i KC-707, per rifornire in volo i caccia che porteranno l’attacco. Ma gli aerei di rifornimento richiederebbero a loro volta altri aerei a loro protezione e, considerando che Israele ha in tutto circa 125 F-15I e F-16I, l’operazione richiederebbe un numero di aerei decisamente superiore alle sue attuali disponibilità. A meno che, cosa non facile, questi aerei “di fortuna” per il rifornimento non vengano fatti volare a quote più alte del solito (ossia a circa 15 chilometri di altezza) per evitare il fuoco della contraerea iraniana e poi fatti scendere rapidamente per rifornire i caccia.
La controffensiva iraniana
La controffensiva iraniana, tra l’altro, sarà tutt’altro che debole, scrive il New York Times. La sua contraerea è di una generazione più vecchia degli armamenti a disposizione di Israele (nel 2010 la Russia non ha venduto all’Iran i missili avanzati S-300), senza contare il fatto che potrebbe essere vittima di una guerra informatica israeliana per disabilitarla. Ma l’Iran potrebbe decidere di lanciare per rappresaglia dei missili contro Israele, aprendo così nella regione uno scenario di guerra più ampio e dalle conseguenze decisamente più gravi.
Bombe insufficienti?
Infine c’è il problema dei siti nucleari iraniani, alcuni dei quali sono stati installati sotto terra così in profondità che molto probabilmente un attacco aereo da parte di Israele non riuscirebbe a disattivarli. Il sito di Natanz, per esempio, si trova in un bunker a circa 10 metri di profondità, mentre quello di Fordo è addirittura costruito in una montagna. Israele possiede le bombe GBU-28, bombe a guida laser da 2.268 chili del tipo “bunker buster”, in grado di penetrare bersagli pesantemente corazzati o sotterranei. Tuttavia anche le GBU-28 potrebbero essere insufficienti per questo obiettivo, così come le più avanzate GBU-31. A questo punto potrebbe essere necessaria la Massive Ordnance Penetrator (MOP), un’altra bomba “bunker buster”, da quasi 14 tonnellate e decisamente più potente. La MOP è però di nuova costruzione e va ancora sottoposta a diversi test.
nella foto, l’impianto nucleare di Bushehr, in Iran (AP/Mehr News Agency, Majid Asgaripour, File)