Chi era Anthony Shadid
Corrispondente del New York Times, aveva vinto due premi Pulitzer ed era considerato uno dei migliori giornalisti della sua generazione: è morto ieri in Siria
Giovedì sera il New York Times ha annunciato la morte di un suo giornalista, Anthony Shadid, che si trovava in Siria per raccontare le rivolte e la repressione del regime di Assad. Shadid, che aveva 43 anni, era considerato tra i migliori corrispondenti della sua generazione e tra i più esperti di questioni mediorientali. Il New York Times ha spiegato che Shadid è morto probabilmente per un attacco d’asma. Il suo corpo è stato trasportato in Turchia da un collega, il fotografo Tyler Hicks.
Shadid, che aveva una moglie e due figli, era nato a Oklahoma City nel 1968 da una famiglia di origini libanesi. Dopo una laurea in Scienze politiche e giornalismo iniziò a lavorare come inviato al Cairo per l’Associated Press. Passò al Boston Globe, dove rimase due anni, e poi al Washington Post, dove rimase dal 2003 al 2009 lavorando come inviato in Medio oriente. Nel dicembre 2009 divenne corrispondente del New York Times. Vinse due volte il premio Pulitzer per i reportage stranieri, nel 2004 e nel 2010, in particolare per i suoi articoli scritti in Iraq prima e durante la guerra. È stato nominato anche per il Premio Pulitzer 2012 per i suoi reportage sulla Primavera araba: i vincitori verranno annunciati ad aprile.
Noto anche per essere particolarmente intrepido, durante il suo lavoro Shadid si era trovato molte volte in situazioni pericolose. Nel 2002, mentre lavorava come corrispondente per il Boston Globe, fu ferito durante una sparatoria a Ramallah, in Cisgiordania. Lo scorso marzo venne rapito in Libia insieme ad altri tre giornalisti dai soldati fedeli a Muammar Gheddafi: furono picchiati e tenuti in ostaggio per sei giorni, prima di essere liberati. Nello stesso anno le autorità siriane criticarono i suoi reportage sulla repressione nel Paese e i suoi familiari abitanti in Libano vennero molestati da agenti siriani. Era particolarmente apprezzato per la capacità di comprendere e raccontare il Medio Oriente, descrivendo con cura come i grandi eventi influivano e stravolgevano la vita delle persone.
(«Potevi vedere i proiettili colpire la sabbia», I quattro giornalisti del New York Times catturati in Libia raccontano la loro storia)
Il New York Times lo descrive come “un reporter coraggioso, un osservatore perspicace e un fine analista dotato uno stile lirico”. L’ex capo redattore del Washington Post Phil Bennett spiega che Shadid “ha cambiato il modo in cui abbiamo guardato all’Iraq, all’Egitto e alla Siria in un periodo cruciale come gli ultimi dieci anni. Nessuno è in grado di prendere il suo posto”. Steve Fainaru, un giornalista del Washington Post con cui lavorò a lungo in Iraq, lo definisce “il miglior giornalista che abbia mai visto, senza dubbio. La sua attenzione per i dettagli era stupefacente, riusciva a scrivere degli articoli che erano poesia e a consegnarli in tempo. Ed era completamente imperturbabile. Ma penso sopratutto a lui come persona. Era una delle persone più gentili, comprensive ed empatiche che abbia mai conosciuto. Era un grande amico. E la cosa che lo ha reso così grande come giornalista era la sua capacità di trovare un po’ di empatia e comprensione in tutte le cose di cui scriveva”. Shabib ha scritto tre libri, di cui uno tradotto in italiano: Legacy of the Prophet: Despots, Democrats and the New Politics of Islam, Dove la notte non finisce e House of Stone: A Memoir of Home, Family, and a Lost Middle East che sarà pubblicato il mese prossimo.