Il referendum sul russo in Lettonia
Si terrà sabato prossimo per decidere se dare al paese un'altra lingua ufficiale, questione su cui si litiga da anni
di paolo pantaleo
Sabato in Lettonia si vota per un referendum allo scopo di decidere se il russo dovrà diventare la seconda lingua nazionale del paese. Se il referendum avesse successo, per la prima volta l’Unione Europea avrebbe fra i suoi stati membri un Paese che ha il russo come lingua ufficiale.
In Lettonia il 27 per cento della popolazione del Paese è russofona: una forza sociale, economica e politica molto consistente. La questione linguistica è il punto di tensione maggiore fra le due principali comunità del paese, la lettone e la russofona. Dopo aver riconquistato la libertà e l’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991, i lettoni considerano la propria lingua una delle basi irrinunciabili e fondamentali per la propria identità nazionale e si sono sempre opposti a concedere qualsiasi riconoscimento ufficiale al russo.
Nei mesi scorsi il movimento Dzimtā Valoda (Lingua madre) guidato dal russofono Vladimirs Lindermans ha raccolto 180 mila firme, grazie anche all’aiuto del maggiore partito russofono del paese Saskaņas Centrs (recente vincitore delle elezioni ma all’opposizione del governo di centrodestra lettone) per chiedere la modifica della Costituzione e affiancare al lettone anche il russo come lingua nazionale. La modifica costituzionale è stata poi bocciata dalla Saeima (il parlamento lettone) con il voto contrario di tutti i partiti lettoni, di maggioranza e opposizione, mentre Saskaņas Centrs si è astenuta.
Il referendum ha pochissime possibilità di successo: per vincere, i Sì dovrebbero ottenere il 50,1 per cento dei voti degli aventi diritto, circa 771 mila voti. La questione ha fatto però nascere un dibattito molto acceso fra le due comunità, simile a quello che già avviene anche in altri stati ex sovietici – come la vicina Estonia – dove le comunità russofone rappresentano una minoranza altrettanto rilevante e forte.
Il referendum inoltre sta mettendo in difficoltà soprattutto il partito russofono SC, che non volendo perdere l’appoggio dei nazionalisti russi ha deciso di sostenere la raccolta di firme e invitare gli elettori a votare Sì, ma in parlamento ha tenuto un atteggiamento ambiguo astenendosi sul voto alla modifica costituzionale. Il suo leader, il sindaco di Riga Nils Ušakovs, ha detto che voterà Sì al russo come lingua ufficiale, ma solo per difendere la dignità dei russofoni e non perché consideri necessario affiancare al lettone un’altra lingua ufficiale nel paese. SC si trova in difficoltà anche perché l’onda lunga del voto di protesta contro le severe riforme economiche del governo Dombrovskis negli ultimi tre anni – che finora ha favorito la sua crescita elettorale – si sta un po’ affievolendo: il Paese ha concluso con successo il programma di prestiti del Fondo Monetario Internazionale che l’ha portato fuori dalla crisi iniziata nel 2008 e ha chiuso il 2011 con il PIL in crescita del 5 per cento.
Le ragioni dei promotori del referendum
La minoranza russofona, attraverso Saskaņas Centrs, aveva cercato recentemente di far approvare in parlamento una legge che riconoscesse almeno il russo come lingua di minoranza del paese, permettendo che nei comuni e nelle regioni dove la popolazione russofona è sopra una certa soglia (Riga, tutto il Latglale, la regione orientale del paese) i cittadini potessero comunicare con le istituzioni locali in russo. La proposta però è stata bocciata dal parlamento. Così è andato avanti il tentativo di modificare la costituzione per riconoscere il russo come seconda lingua nazionale. I promotori sostengono che in Lettonia il russo non può essere considerato una lingua straniera, al pari dell’inglese o del tedesco, ma deve avere un riconoscimento ufficiale, per dare modo ai russofoni di poter usare la loro lingua madre anche nei rapporti con le istituzioni.
Le ragioni di chi si oppone al quesito referendario
I partiti lettoni si oppongono decisamente a ogni riconoscimento ufficiale del russo. Sostengono che la Lettonia è l’unico posto del mondo in cui il lettone può essere parlato, difeso e valorizzato, e ritengono una minaccia limitarne l’uso riconoscendo un’altra lingua ufficiale. Molti ritengono addirittura il referendum incostituzionale perché lede uno dei principi fondamentali su cui si basa l’esistenza stessa della Lettonia, la sua lingua nazionale. Alcuni deputati avevano sottoposto la questione di legittimità del referendum alla Corte costituzionale, che però si pronuncerà solo dopo lo svolgimento del referendum, che la stessa Consulta lettone ha deciso di non sospendere. Ma dopo la decisione di far svolgere il referendum nell’opinione pubblica si è risvegliato una fortissima voglia di difendere la lingua lettone nazionale: oltre ai partiti lettoni si sono schierati apertamente per il no al referendum quasi tutte le forze sociali, molti intellettuali, la stessa Chiesa cattolica e quella protestante. Tanto che adesso Dzimtā Valoda e soprattutto Saskaņas Centrs temono che il referendum gli si rivolga contro (i sondaggi parlano di partecipazione record) e rappresenti un secondo risveglio nazionale per i lettoni, simile a quello che venti anni fa portò all’indipendenza dall’Urss.
Foto: Una manifestazione della minoranza russa davanti al Parlamento a Riga (Raitis Purins/AFP/Getty Images)