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  • Martedì 14 febbraio 2012

Niente Olimpiadi a Roma nel 2020

Monti non ha firmato i documenti per la candidatura, che a questo punto decade: rimangono in corsa Baku, Doha, Istanbul, Madrid e Tokyo

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse
26-01-2012 Roma
Politica
Chigi - Il Presidente del Consiglio incontra i il Presidente della Repubblica islamica d’Afghanistan
Nella foto: Il Presidente del Consiglio Mario Monti
Photo Mauro Scrobogna /LaPresse
26-01-2012 Roma
Politics
Presidency of the Council of Minister - Italian Prime Minister meets the President of the Islamic Repulic of Afghanistan
In the picture: Italian Prime Minister Mario Monti
Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 26-01-2012 Roma Politica Chigi - Il Presidente del Consiglio incontra i il Presidente della Repubblica islamica d’Afghanistan Nella foto: Il Presidente del Consiglio Mario Monti Photo Mauro Scrobogna /LaPresse 26-01-2012 Roma Politics Presidency of the Council of Minister - Italian Prime Minister meets the President of the Islamic Repulic of Afghanistan In the picture: Italian Prime Minister Mario Monti

16.33 – La conferenza stampa del governo si può seguire in streaming qui.

16.18Monti non ha firmato le lettere di garanzia e impegno al Comitato olimpico internazionale per la candidatura di Roma a organizzare le Olimpiadi del 2020. Il termine per presentare le candidature scade domani, senza le lettere la candidatura è da intendersi come decaduta. «Non ci sentiamo di prendere un impegno finanziario che potrebbe gravare in misura imprevedibile negli anni a venire». Rimangono in corsa Baku, Doha, Istanbul, Madrid e Tokyo.

15.30 – Gianni Alemanno ha annunciato che ci sarà una conferenza stampa intorno alle 17.30 al Campidoglio dopo il suo incontro, a Palazzo Chigi, con Mario Monti sulla candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020. Continuano intanto a circolare voci sul parere negativo da parte del governo.

13.15 – Secondo il sito del Corriere della Sera, il governo avrebbe deciso di bloccare la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2020. La decisione deve essere ancora ufficializzata e la comunicazione avverrà probabilmente dopo un incontro con Gianni Alemanno, il sindaco di Roma, nel primo pomeriggio di oggi.

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Durante il Consiglio dei ministri di oggi il governo dovrebbe decidere cosa fare della candidatura di Roma a organizzare i Giochi Olimpici del 2020. Le città che vogliono candidarsi hanno tempo fino a domani per presentare al Comitato Olimpico Internazionale le domande e le lettere di garanzia e impegno: tutti i giornali di oggi sottolineano che il fatto che si sia arrivati a questo punto, all’ultimo giorno, senza una decisione, indica lo scetticismo di Mario Monti rispetto alla questione. Scrive oggi Monica Guerzoni sul Corriere, con virgolettati credibili ma da prendere con le molle:

«I rischi di sforare il budget sono enormi» è l’ossessione di Monti, che ha studiato con scrupolo l’esperienza di Londra e quella di Atene. E che ha «molto apprezzato», raccontano, le parole con cui un campione del calibro di Pietro Mennea ha definito «una follia» l’idea di candidare Roma in tempi di vacche magre. E poi, ragionano nell’esecutivo, come si fa a puntare sulle Olimpiadi quando non ci sono sufficienti risorse per finanziare la riforma del mercato del lavoro? Oggi il dossier olimpico, col suo delicato corredo di speranze e tensioni, approderà in Consiglio dei ministri, dove non mancano orientamenti favorevoli ma prevale la cautela. Monti ha invitato tutti a non sbilanciarsi e la sua squadra ha fatto un passo indietro, lasciando che sia il presidente a dare l’indirizzo decisivo.

Le altre città in corsa sono Baku (Azerbaigian), Doha (Qatar), Istanbul (Turchia), Madrid (Spagna) e Tokyo (Giappone). Il timore del governo è che, col paese in gravi difficoltà e col governo intento a raggranellare risorse ovunque possibile, sia la candidatura che un’eventuale organizzazione dei Giochi possano essere una zavorra più che un’opportunità, se non addirittura avere conseguenze disastrose come quelle patite da Atene e dalla Grecia dopo i Giochi del 2004.

Roma era stata scelta dal CONI come città italiana candidata il 19 maggio del 2010, l’altra città candidata era Venezia. Roma aveva stimato in 42 milioni di euro la cifra necessaria a portare avanti la candidatura, 16 dei quali sono stati già spesi per la “pre-candidatura” presentata al CONI. La somma è stata messa a disposizione dal comune di Roma, dalla provincia e dalla regione, insieme ad altri soggetti pubblici e privati: l’Unione Industriali di Roma, la Camera di Commercio, la Federlazio (associazione delle piccole e medie imprese), l’ACER (associazione dei costruttori), la Federalberghi, l’ACEA e alcune aziende muncipalizzate come ATAC e AMA. “La componente di finanziamento pubblico”, si legge nel dossier, “non supererà, indicativamente, il 60% delle risorse del Comitato, nell’ambito di un budget finalizzato all’assoluto equilibrio fra costi e ricavi”.

Qualora Roma dovesse essere scelta come città organizzatrice, i costi si sdoppierebbero. Una parte viene garantita dal Comitato olimpico internazionale attraverso il ricavato della cessione dei diritti televisivi e le sponsorizzazioni: Roma stima di ricavarne oltre due miliardi di euro. L’altra parte è quella che dev’essere garantita dalla città ospitante. Roma pensa di spendere circa quindici miliardi di euro, somma che sarà finanziata, si legge, “da soggetti pubblici e privati attraverso fondi, contributi, project financing e forme di partenariato pubblico-privato”. Tutto questo sulla carta, naturalmente: l’esperienza del passato, dai mondiali di calcio del 1990 a quelli di nuoto del 2009, mostra come in eventi del genere le cifre delle spese si possano gonfiare a dismisura. Anche per questa ragione il Post già nel 2010 aveva espresso la propria contrarietà al progetto di candidare una città italiana a organizzare i Giochi Olimpici.

Si è discusso – e verosimilmente si discuterà molto ancora, da qui alla decisione finale del CIO – del senso e dell’opportunità di queste candidature: e di quanto queste, nonché un’eventuale assegnazione dei giochi, possano o no rappresentare una notizia positiva per le città e per l’Italia. I precedenti non aiutano a essere ottimisti. L’organizzazione dei mondiali di calcio del 1990 non lasciò al paese impianti sportivi di qualità, ma una lunga serie di scandali, processi per corruzione e infrastrutture lasciate a metà. La storia dei recenti mondiali di nuoto a Roma è dentro alle vicende di questi giorni su Anemone, Balducci, la “cricca” e gli appalti sui grandi eventi. La retorica per cui in questo paese non si può mai fare nulla perché verrà fatta male è perdente e autoalimenta i fallimenti. Per questo vogliamo che l’Italia diventi un paese in grado di ospitare dignitosamente e proficuamente un grande evento internazionale. Ora non lo è e non lo sarà da qui a pochi anni: altri sono i fronti su cui investire e con speranze di successo e ricostruzione.

Siamo dell’idea che le cose si debbano fare e si debbano fare bene. Ma non ci sembra che in questo momento l’Italia sia in grado di fare le cose; tantomeno di farle bene, ripetendo quanto accaduto con le olimpiadi invernali di Torino grazie a una rara – per questo paese – combinazione di lucidità, saggezza e buona amministrazione su una misura di intervento controllabile. I limiti dell’Italia nella realizzazione dei grandi eventi non sono un segreto per nessuno, ed è cieco o interessato chi se li nasconda. Soltanto pochi anni fa l’Italia si vide preferire Polonia e Ucraina per l’organizzazione degli europei di calcio del 2012, e alla fine di questo mese potrebbe accadere lo stesso per gli europei del 2016 [è accaduto, ndr]. Le motivazioni sono sempre le stesse: scarsa trasparenza nella gestione degli appalti, infrastrutture inadeguate, mancanza di garanzie sul fronte della sicurezza, e persino il decennale “troppi scioperi” tra i lavoratori. Il Comitato olimpico internazionale lo sa benissimo, ed è questa la ragione per cui difficilmente assegnerà a una città italiana l’organizzazione dei giochi olimpici 2020: le ospiterà un paese capace di farlo degnamente. Noi ci stracceremo le vesti, lamenteremo l’ennesimo complotto internazionale ai danni dell’Italia, ci avviteremo intorno a polemiche e recriminazioni, e nel frattempo avremo speso – e qualcuno avrà incassato – oltre cinquanta milioni di euro che potevano trovare migliore destinazione.

foto: Mauro Scrobogna /LaPresse