Stampa meretrix
Marsilio ha pubblicato gli strali quattrocenteschi contro i primi libri stampati, utili a capire cosa succede coi cambiamenti, ogni volta
Nella seconda metà del 1400 la stampa cominciò a diffondersi a Venezia. Mentre alcuni intellettuali del tempo coglievano la portata della nuova tecnica e la sua capacità di incidere sulla diffusione dell’istruzione, il contatto troppo immediato con il libro che la stampa procurava ai lettori infastidì chi credeva ancora nel valore aristocratico della lettura e del possesso di un volume manoscritto. Uno di questi era il domenicano Filippo da Strada, che proveniva da un mondo di copisti e di miniatori che producevano in poche raffinate copie volumi che venivano commissionati da grandi signori e avevano poca circolazione.
Per Filippo da Strada il commercio del libro stampato era un volgare divertimento popolare, da stroncare per legge, anche perché danneggiava economicamente il contesto da cui lui proveniva. Per questo, nel 1473, si rivolse al doge Marcello chiedendogli di vietare la stampa, che paragonava e sovrapponeva alla falsificazione della moneta. Al doge indirizzò una traduzione di una raccolta di vite di santi, preceduta da un poema latino in cui chiedeva il bando dell’attività tipografica dalla città, spiegandone quelli che a suo parere erano i rischi.
Dal testo – pubblicato per ora fuori commercio da Marsilio col titolo “Stampa meretrix”, e che arriverà in libreria a marzo – emerge un solido disprezzo del pubblico e un’intolleranza verso l’istruzione generalizzata, spiegata con delle argomentazioni piuttosto trite all’epoca che vedevano i libri a stampa come fonte di diffusione della corruzione tra i giovani. I giovani, e il popolo in assoluto potevano procurarsi a poco prezzo testi dai contenuti considerati osceni, come quelli di Tibullo e Orazio, e la richiesta di questo tipo di testi ne avrebbe incoraggiato ulteriori riproduzioni. La richiesta non venne accolta dal doge.
Quasi vent’anni dopo, con altri toni e maggior rassegnazione, Filippo da Strada scrisse un nuovo poema contro gli stampatori, ormai piuttosto anacronistico e reazionario, utilizzando gli stessi argomenti che oggi suonano abbastanza familiari.
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O casata Marcella, che ora siedi eccelsa sul trono per i tuoi meriti, manterrai potere in eterno. O doge Nicola, ti procurerai Regni Celesti, nei quali tu possa passeggiare felice. Da privato cittadino hai vissuto in modo santo, preservandoti per te stesso; ora sono sicuro che, da doge, vivrai in modo giusto anche per i popoli. Sei stato d’aiuto a molti, distribuendo con temperanza doni, ora sarà bene che tu sia di sostegno a più persone con generosità. Nel passato tu, in solitudine, hai pregato per la pace dei tuoi; da questo momento i tuoi sudditi preghino per te, che sei diventato doge. Non dilungandomi con versi artefatti in lunghi preamboli e in giri di parole, ti offro questo piccolo testo con devozione. Accetta il presente libretto che invio a un grande uomo con intenzione d’animo, spero, gradita per il dono e per il suo pregio. Tu leggerai gli scritti sacri dei santi che io ho tradotto in lingua volgare, parlando delle gesta dei padri. So che sempre tu hai in odio i libri a stampa pieni di stoltezze del popolo e ami i precetti onesti; né le cose da me illustrate si confanno a te, bensì a persone del tutto grossolane, che hanno scacciato dalle loro dimore gli scrittori perbene, tra i quali questo tuo servo, che si duole dei danni provocati dall’inganno di coloro che, a qualsiasi prezzo, stampano in modo sconveniente ciò che può infiammare, ahimè, i giovani ingenui, mentre lo scrittore muore di fame.
Se vuoi, poni un rimedio a questa peste che è in contrasto con tutte le leggi dell’onestà, schiaccia gli stampatori. Costoro persistono nei loro vizi malati, stampando Tibullo, mentre la fanciulla legge Ovidio, venendo educata alla nefandezza. Grazie ai libri a stampa i delicati giovani e le innocenti ragazze imparano qualunque cosa corrompa la purezza della mente e della carne, immacolata senza il fetido peccato. Gli stampatori insegnano la lussuria con cui divorano grandi fortune. O Dio! O Misericordia! O Santa Fede degna di venerazione! Che cosa fate, o nobili?
Vengono meno i vostri impegni. Finché è più gradito il dolce che l’onesto, senza vergogna moltiplicano tutto ciò che smuove Venere.
A prezzi tanto stracciati stampano ciò che ciascuno ammassa in abbondanza per sé e così anche gli asini si mettono a studiare. Gli stampatori ingurgitano vino, russano sepolti dal lusso, deridono. L’italico sta nelle stalle. Va in esilio la superiore arte dei copisti che non conobbero mai nessun’altra attività che lo scrivere bene. Questa gloria, o doge, ti riguarda: abbattere le stampe; cosa che prego che tu faccia perché chi è dedito al vizio non trionfi.
La scrittura è, certamente, degna di venerazione e deve essere ritenuta più nobile di tutti i beni che l’oro ammassa per noi, a patto che non abbia subito brutture nel postribolo delle stampe. Essa è pura, se praticata con la penna, è meretrice, quando viene stampata. Non devi forse definire prostituta quella che simula di amarci tanto, dedita solo al guadagno rapace? Non sarà forse degna del nome di lupa quella svergognatissima femmina che, suscitando lussuria, indebolisce i giovani? Così fanno i libri stampati: corrompono i cuori innocenti. Tuttavia gli sciocchi (diciamolo pure: “gli asinelli”) non si accorgono di questo, ma, pur essendo rozzi, si beano del falso titolo di dottori e si vantano con un canto simile (ascoltalo indulgente): «O buon cittadino, tripudia: la città è ben zeppa di libri. Con pochi denari si diventa dottori in tre anni. Si sia riconoscenti agli stampatori». E ogni persona ignorante di latino proclama queste cose. Propongo un canto di senso opposto: «Mai, come in questo tempo, la città ebbe un così ridotto numero di libri o di persone che li apprezzano a sufficienza. Le opere a stampa creano una città senza soldi e senza cuore. Se per te la luce proviene dalle tenebre, essa, allora, per te verrà dalle stampe». O doge celeberrimo, non voglio logorare le tue orecchie con tristi poesie caratterizzate da un’interminabile lamentazione, ma quanto si differenzi il vero dal falso imparalo dal presente libro sui santi, scritto mediante piume d’oca e che io ho vergato con le mie mani.
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La scrittura è, certamente, degna di venerazione e deve essere ritenuta più nobile di tutti i beni che l’oro ammassa per noi, a patto che non abbia subito brutture nel postribolo delle stampe. Essa è pura, se praticata con la
penna, è meretrice, quando viene stampata. Non devi forse definire prostituta quella che simula di amarci tanto, dedita solo al guadagno rapace? Non sarà forse degna del nome di lupa quella svergognatissima femmina che, suscitando lussuria, indebolisce i giovani? Così fanno i libri stampati: corrompono i cuori di chi legge, avendo separato i sentimenti dalla verità e dai costumi onesti. La Bibbia in volgare, ahimè, contiene tanti errori puerili quanti sono i vocaboli che stridono tra di loro. Rompe la testa alla grammatica, tormenta con la sua asprezza lingua e occhi, sbagliando deforma il testo secondo i propri gusti. Dei rimanenti libri, corrotti in ogni loro parte, io mi limiterò a riferire solo il nome, per non renderti partecipe di scrittori depravati, quali Ovidio o Tibullo, che in tempi recenti i libri stampati diffusero in gran copia per farti conoscere coloro che bramano Sodoma o Gomorra. Pertanto, o lettore, eccoti settantadue versi, e se li avrai molto a cuore, darai fuoco alle opere stampate. Infatti ogni carme si innalza fecondo contro qualsiasi grave danno generato dalle stampe. E io ne avrei composti molti di più, se nutrissi la speranza di essere utile ai cari confratelli, parlando di argomenti benefici. Ma io temo, o Terenzio, che siano troppo giuste le tue parole con le quali sostieni che noi con la verità ci procuriamo dei nemici, ma col denaro leghiamo a noi molti come amici.
Tuttavia mi infiammano l’amore per la virtù di cristo e l’illustre sangue di giovani nobili che sono sedotti dalla rozzezza, dagli inganni e dall’eccessiva avidità della gente che stampa i lussi e qualsiasi lettura criminale. […] Grazie alle stampe viene aggiunto veleno ai neri serpenti e ora per i lupi è possibile predare tutto il bestiame. Grazie alle stampe la boriosa superbia del popolo tedesco infuria del tutto, mentre divora mille fortune. Grazie alle stampe i giovani tralascino l’arte (dello scrivere a mano), che era a loro molto adatta, e amino le nefandezze della carne. Finché grazie alle stampe possiederanno con venti soldi l’Ars di Donato stampata, perché si dovrebbero impegnare a scrivere? Grazie alle stampe il cuculo ora canti “cu cu” ai caproni; con la sua vorace gola alimentata con l’inganno, trionfi.
Perché grazie alle stampe lo scrittore perde il dovuto onore? Lo stampatore si mostra avido con l’aiuto della bocca. Grazie alle stampe è stata umiliata la bella gente italica, che non ha trovato di stampare secondo il nuovo uso. Grazie alle stampe si ritiene che tutto il popolo sia stato colpito da una grave pazzia che prima aveva evitato. Grazie alle stampe una questione sufficientemente valida turba i cuori misericordiosi: perché tante persone
illustri brillarono senza di esse? Grazie alle stampe la mente vaga distratta; non assimila niente di quello che legge, come fa invece lo scrittore, quando ricorda. Grazie alle stampe sono costretto a concludere che ci fu la luce senza luce e che ora possono splendere tenebre profonde. Grazie alle stampe l’esecranda fame dell’oro costringe i petti mortali a stravolgere i costumi, la religione, la fede. Grazie alle stampe consegue che, procurandosi a prezzo maggiore gli oggetti migliori, uno non provveda adeguatamente a se stesso, che i calici e i manufatti per il culto non siano più d’oro né che le chiese vogliano le coperture di seta. Grazie alle stampe sbagliano coloro che nelle mani infilano monili di bronzo ornati con pietre preziose e adornano in modo splendido le dita. Grazie alle stampe, infatti, dovrebbero assumere la regola di cingere le dita col vimine o col ferro. Grazie alle stampe è lontano dal vero chi adorna le proprie membra con una veste preziosa che le ricopre. Grazie alle stampe sarebbe meglio per coloro che danno simili consigli rinchiudere il proprio corpo in casa che non in un luogo spazioso. Grazie alle stampe non vi siano coppe ben costruite.