I conti di AN che non tornano

Non si capisce che fine ha fatto un bel pezzo del patrimonio di Alleanza Nazionale, 26 milioni: c'è un'inchiesta in corso, il centrodestra ne sta litigando

La procura di Roma sta svolgendo indagini per un presunto reato di malversazione nei confronti di chi gestì il patrimonio di Alleanza Nazionale, il partito confluito con Forza Italia nel Popolo della Libertà. I conti non tornano specialmente per quanto riguarda le spese effettuate tra il 2009 e il 2011, pari a 26 milioni di euro, e che avrebbero in parte consumato il patrimonio del partito. La vicenda giudiziaria sta diventando nuovo motivo di scontro tra i finiani di Futuro e Libertà e gli ex esponenti di AN che sono rimasti nel PdL.

Associazione Alleanza Nazionale
Il 18 novembre del 2007 Silvio Berlusconi annunciò in modo piuttosto estemporaneo la formazione di un nuovo soggetto politico, che raccogliesse in un’unica entità buona parte dei partiti di centrodestra che avevano sostenuto la sua azione politica. L’anno seguente il progetto portò alla nascita di una federazione di partiti politici e nel marzo del 2009 alla fondazione del partito vero e proprio: il Popolo della Libertà, frutto in prima istanza della fusione tra Forza Italia e Alleanza Nazionale. All’epoca AN era in possesso di un centinaio di proprietà immobiliari e riceveva ancora i rimborsi elettorali, a causa di un perverso meccanismo legislativo, per cui si decise di trasformarlo in Associazione AN, in attesa di una sua ulteriore trasformazione in fondazione alla fine del 2011.

Comitati
L’Associazione aveva un patrimonio stimato intorno ai 300 milioni di euro. Per la sua amministrazione fu nominato un comitato di gestione, accompagnato da un comitato di garanti per consentire ai principali leader di quella che era AN di esercitare un controllo sulle spese effettuate, tramite alcuni delegati. All’interno dei comitati c’erano quindi diverse personalità nominate tra gli altri da Gianfranco Fini, Maurizio Gasparri, Ignazio la Russa, Gianni Alemanno.

Separazione
Fatta eccezione per qualche tensione, il sistema dei comitati si rivelò una scelta efficace per amministrare il patrimonio dell’Associazione per più di un anno. Le cose iniziarono a cambiare, in peggio, a partire dalla metà del 2010: quando avvenne la scissione dei finiani dal Pdl con la contestuale nascita di FLI. Gianfranco Fini fu seguito da un gruppo di politici che potevano esercitare un controllo sui comitati di gestione dell’Associazione. Nei mesi seguenti, la minoranza dei finiani perse il proprio peso politico nei comitati, dai quali fu sostanzialmente estromessa.

Esposto
In seguito alla perdita del controllo, i deputati di FLI Enzo Raisi e Antonio Buonfiglio (da novembre parte della componente esterna a FLI “Fareitalia per la Costituente Popolare”) presentarono un esposto in sede civile, accusando i comitati dell’Associazione di aver usato le risorse dell’Associazione a beneficio del Popolo della Libertà. I magistrati nominarono due periti, l’avvocato Giuseppe Tepedino e il commercialista Simone Manfredi, con il compito di analizzare le centinaia di carte dell’Associazione. Sulla base dei risultati dell’indagine, il tribunale ha ora nominato due liquidatori, estromettendo i vecchi comitati di gestione e di garanzia. Intanto la segretaria personale storica di Gianfranco Fini, Rita Marino, ha presentato una denuncia in sede penale basata su quanto emerso dalle ispezioni.

I numeri
Sul Corriere della Sera di oggi, Andrea Garibaldi ricostruisce con accuratezza la vicenda dell’Associazione AN, pubblicando anche un elenco delle cifre di cui si parla:

– 1,3 milioni di euro: la differenza nelle spese per il personale tra il 2009 e il 2011;
– 2,7 milioni di euro: la cifra spesa negli stessi due anni per gli affitti e la risoluzione di alcuni contratti;
– 3,6 milioni di euro: i soldi spesi per i congressi organizzati nel 2009;
– 2,5 milioni di euro: le spese per le cartolarizzazioni e gli interessi passivi sui contributi elettorali;
– 3 milioni di euro: i minori incassi sul contributo elettorale in seguito alla fusione nel Popolo della Libertà;
– 1,4 milioni di euro: risorse messe da parte per il fondo di incentivo per la partecipazione delle donne alla politica;
– 2,2 milioni di euro: le rinunce ai crediti nei confronti delle società controllate;
– 2,5 milioni di euro: i rimborsi elettorali ricevuti nel biennio 2009 – 2010;
– 6 milioni di euro: il peso della gestione ordinaria e dei contributi alle associazioni.

Nella loro relazione gli ispettori mettono in luce altre questioni: distacco di personale pagato da AN presso la sede del PdL, ritardata iscrizione a bilancio della cessione di titoli dell’eredità Colleoni (quella della casa di Montecarlo) per 365 mila euro, richiesta di parcelle per 60mila euro da parte dell’avvocato Mugnai, presidente del comitato dei garanti, contributo a fondo perduto per il PdL di un milione di euro, prestito di 3 milioni e 750mila al PdL senza oneri finanziari, restituito dopo qualche mese, ma senza lasciar traccia nel rendiconto di bilancio. Si evidenziano anche debiti per un milione e mezzo e altri debiti possibili non meglio identificati, a fronte tuttavia di un rassicurante accantonamento di 12 milioni di euro.

Reazioni
In seguito alla diffusione delle notizie sul lavoro svolto dai periti, gli ex leader di AN che ora fanno parte del Popolo della Libertà si sono dati da fare per spiegare che nella vicenda non ci sono ammanchi e che i passaggi di denaro sono tutti registrati. Ignazio La Russa, che ora fa parte del consiglio di amministrazione della nuova fondazione che si è sostituita all’Associazione, ha detto che non si tratta di un nuovo “caso Lusi”, il tesoriere della Margherita che avrebbe sottratto diversi milioni di euro al partito. Il vicepresidente di FLI, Italo Bocchino, ha chiesto più trasparenza e una spiegazione per le spese effettuate quando esisteva l’Associazione. Fabio Granata, sempre di FLI, ci è andato giù un po’ più pesante, dicendo che sarebbe “gravissimo” se i comitati avessero “finanziato il partito del miliardario Berlusconi”.

foto: Alessandro Paris/Lapresse