Il viaggio nella Tunisia dei salafiti
Domenico Quirico della Stampa ha visitato il «primo emirato salafita» del dopo Ben Ali e ha visto cose poco confortanti
Domenico Quirico della Stampa è andato nella cittadina di Sejnane per raccontare quello che sembra il «primo emirato salafita» che si è formato in Tunisia dopo la caduta dell’ex dittatore Zine El-Abidine Ben Ali. Qui sono aumentati miseria, furti, violenze, scontri tra clan. Ci sono imam fanatici e guardie salafite che hanno iniziato a pattugliare le strade e ad ammonire gli ubriachi, a chiedere alle donne di indossare il velo integrale “niqab” e c’è chi parla di «punizioni brutali per i “peccatori”».
È il modo in cui lo dicono che preoccupa, che mette in guardia. «Gli islamisti? tutto va bene, sono moderati, ragionevoli. Fanno le loro prove al potere». Però la voce si abbassa, e si guardano attorno, il segno di una segreta geografia spirituale che sta germogliando. Poi un amico, un tunisino gauchiste, di quelli che si sono sempre destreggiati con spirito e dignità per la laicità, visto che la democrazia era loro vietata proprio dal dittatore amico della Francia, mi ha suggerito «vai a dare una occhiata a Sejnane, il primo emirato salafita, vedrai cosa diventerà il Nord Africa tra un po’, li hanno già il veleno dell’islamismo nel sangue. A Sejnane ormai comandano loro». Sabato lui è andato in piazza a Tunisi per gridare «non rubateci la rivoluzione».
Non davano, i manifestanti, una impressione di energia; semmai c’era nella loro dedizione qualcosa dell’atteggiamento di coloro che preparano nei particolari il proprio funerale, dirigono la costruzione della propria tomba. La morte di un sogno non è meno triste della vera morte e lo sconforto di coloro che lo hanno perduto è profondo come un lutto. Quando ho visto l’imam di Sejnane ho pensato a quei preti giovani appena usciti dal seminario che popolano i romanzi di Bernanos, perduti tra le miserie del mondo a cercare di dipanare l’intricato gomitolo del peccato e della grazia. Ajemmen ha occhi obliqui da gatto malandrino, e dimostra ancor meno dei suoi 22 anni. In città raccontano che lo hanno imposto i salafiti, con le brusche, dopo aver cacciato il predecessore « compromesso con la dittatura». L’imam indossa sul barracano la mimetica e si muove nell’ombra di un manipolo di piissimi con muscoli e grinte da lottatori. La sua moschea vigila un paesaggio di colline eteree dalla luce incontaminata del sole e dalla dolcezza soprannaturale del verde che sboccia in dicembre. Ma la città, 50 mila abitanti, è zeppa di disoccupati e di bambini, e un’aria di rovina e di vecchiaia che sembra consumarli.
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