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  • Martedì 31 gennaio 2012

Angelo Guerriero, il racconto di Samuel dei Subsonica

Un estratto da ElettricaVitA, il libro di Samuel Romano con storie di musica e di musicisti, un po' vere e un po' no

di Samuel Romano

Ti ho incontrato per caso, come un angelo guerriero sei arrivata a distruggere tutto. Le luci delle macchine sfrecciano sul muro, entrano dalle persiane e disegnano la stanza come raggi fotonici di bellissime astronavi. Non so nemmeno se verrai, ma io ti aspetto lo stesso. Inizio così a riordinare nervosamente, piego i vestiti, allineo le cose, i pensieri, le ferite. Cerco di darmi un tono ma non ci riesco. La musica, le luci, tutto è a posto. I laser aumentano il loro flusso, sempre di più. La stanza ora è invasa da una battaglia incredibile, osservando queste evoluzioni mi rendo conto che sono già stato qui. Una notte di qualche anno fa, dopo un concerto, tre giovani donne mi rapirono per portarmi in paradiso.

Qui. Quello che oggi mi sembra l’inferno qualche anno fa mi sembrò un Eden umido, morbido, e dolce. L’ultima sponda di realtà da cui salpare per dimenticare tutto. Per prima cosa andammo in spiaggia, ci spogliammo. Era una di quelle notti in cui i vestiti volano via senza peso. Una notte in cui tutto accadeva intorno a noi, e noi eravamo tutto. In acqua ci raccontammo chi eravamo e dove stavamo cercando di andare, i miei racconti rilucevano nel vento come opere d’arte. I loro occhi pendevano dalle mie labbra, sapevo che di lì a poco saremmo finiti nello stesso letto. Più tardi arrivammo fin qui, in questa stessa stanza d’albergo. Fuori, l’Emilia Romagna risplendeva come un diamante. A metà degli anni Novanta era l’unico posto in cui ti capitavano certe cose, l’unico luogo così denso e profondo da potersi perdere.

Ricordo che i fari delle macchine disegnavano questi muri, nello stesso incredibile modo, mentre, ridendo, dinoccolati raggiungevamo il letto, la mia bocca ancora cantava, e le loro baciavano e assaporavano ogni parte del mio corpo sudato. Intrecciati, ci regalammo la vita con bontà infinita: nessuno fuori metrica, nessuno fuori tempo, tutti e quattro armonizzati come una sinfonia, coscienti del fatto che, dopo quella notte, non ci saremmo più rivisti. Vorrei poter dimenticare. Vorrei dimenticare ognuno di quei momenti. Oggi fanno più male di un coltello, come se tutta la leggerezza accumulata tornasse indietro, con un enorme peso specifico.

Il lento fluire delle cose mi ha portato fin qui, ad aspettare te. Sono sdraiato sul letto da ore ormai. I raggi laser rallentano, la loro battaglia non è più così incredibile ora, non riescono più a incantarmi. Inizio a credere che forse non verrai. Fa ancora più male pensare che avrei potuto gettarmi tra le braccia di qualche “bella passante” e cercare in quel modo di estinguere i pensieri. Invece ho deciso di venire in albergo ad aspettarti, sapendo perfettamente che non verrai. Mi sento come l’illuso di Via del Campo che va dalla sua puttana, “a pregarla di maritare”: “Ama e ridi se amor risponde, piangi forte se non ti sente”.

Ecco. Il mio è sordo, non ci sente proprio, forse non ha le orecchie, o molto probabilmente le sta usando per qualcun altro. Ma non ci posso fare niente, mi sembra impossibile adesso non lanciarmi di testa in questo desolato e oscuro lago ghiacciato. La battaglia è finita, niente più laser e astronavi sul muro. È tardi e le auto sono già tutte infilate nei parcheggi delle discoteche, è sabato sera e la riviera sta per esplodere. In un rigurgito post-rock recupero la “merce” che ho comprato ieri dal Robby, il mio spacciatore di zona, ne inalo un po’. Devo uscire. Scendo e mi trovo in mezzo all’ultima ondata di famiglie che tornano verso i loro alloggi, in un tripudio di bancarelle colorate, giocattoli colorati, negozi di scarpe colorate, profumi colorati, asciugamani della Coca-Cola e infradito di gomma, ovviamente colorati.

Sembra che non abbiano un cazzo da dirsi, camminano affiancati e non si guardano nemmeno: ma come si fa ad andare in vacanza con uno con cui non hai un cazzo da dirti? Come puoi sposarti, fare dei figli e viaggiare con uno con cui non hai un cazzo da dirti? Forse all’inizio è diverso, forse all’inizio di questa malattia sociale chiamata “famiglia” le persone sono accese, innamorate, hanno cose da condividere. Poi smettono semplicemente di parlarsi. Io non voglio diventare così, preferisco essere quella merda di ex rockstar sfigata che sono. Dopo aver fatto girare le palle a tutte le donne che hanno avuto a che fare con me, preferisco trovarmi qui. In una vita dove poi, a un certo punto, sei arrivata tu! Il mio bellissimo angelo guerriero emerso dal nulla a distruggere tutto.

Il viale del tramonto, però, lo immaginavo diverso, meno colorato. Questo è quasi accecante. La tristezza di questo circo si fonde con il mio umore, provocando un miscuglio di umiliante assuefazione tra il me stesso perso e quello che non accetta di essere finito. Lo rende ancora più deflagrante. Ho sete, entro in un bar e ordino uno “Sbagliato”, quello che il barista fa finta di sbagliarsi e ti mette ancora più alcol di quanto non ci sia già in un Negroni. Inizio a sorseggiare questo disgustoso mix di alcolici potentissimi, mi aggiro per il locale cercando di essere riconosciuto. La “tecnica dell’aggancio” è sempre stata il mio forte.

Quando capitavo da solo in qualche città per fare promozione, la sera andavo per locali con l’idea di farmi notare, mi univo a qualche gruppo di ragazzi del luogo per fare serata con loro: a una rockstar non si può rifiutare una serata da rockstar, no!? Ovviamente all’epoca funzionava sempre, oggi molto meno. Per l’esattezza non funziona con i ragazzi di una certa età, quelli più giovani. Qualche dinosauro rugoso e malinconico invece mi riconosce ancora, ma quelli mi annoiano, sono troppo vecchi per me e non hanno mai droghe da offrire.

Questo è un luogo perfetto per agganciare, il tipico Bar tabacchi della riviera dove si viene a bere prima di andare in discoteca: scintillante come poche cose al mondo, dorato e specchiato al punto giusto, con la musica techno a un volume smodato. I tavolini sono pieni di ragazzi che tracannano “Sbagliati”, allora capisco che è arrivato il momento di entrare in azione. Cammino annoiato fra i tavolini fingendo di cercare qualcuno, il pensiero al mio angelo guerriero, cioè l’unica cosa in grado di darmi un po’ di luce ora, quando sento dietro di me una voce.

A: «Ehi, hai visto chi è quello?». B: «No, chi è?». A: «Si chiama Drago, era famoso negli anni Novanta… Me lo ha fatto vedere mio padre su youtube un po’ di tempo fa». B: «E chi cazzo è?».A: «Una volta spaccava, faceva musica elettronica, poi l’hanno beccato con la droga ed è finito in galera». B: «Ma va’!». A: «E già e già e già… uno sfigato». B: «Eh eh eh».Sta diventando sempre più umiliante questa tecnica, ma il mio angelo guerriero morde dentro e questa notte non posso passarla da solo. Mi giro di scatto e dico: «Ehi ragazzi avete una sigaretta?». Il primo dei tipi risponde: «tabacco Pueblo». «Bueno», mi siedo e inizio le manovre mentre mi preparo una sigaretta: «Che fate ragazzi? Andate a ballare stasera?». A: «ovvio, che cazzo vuoi fare, d’altro, qui, il sabato sera?». «Giusto!» rispondo. Negli anni ho capito che con i più giovani devi parlarci poco e aspettare che lo facciano loro.

Non so per quale motivo, ma dopo un po’ si lasciano andare e diventano degli agnellini. A: «Senti un po’, ma tu sei Drago, il tipo che andava di moda negli anni Novanta?». «Sei un po’ troppo piccolo per ricordarti certe cose. Comunque sì, baby, sono io, “robba” forte!» rispondo simpatico. I ragazzi scoppiano in una risata, me li sto lavorando bene. B: «Sei forte nonno, che cazzo ci fai tutto solo qui in mezzo al bordello, non dovresti essere a mettere a letto i nipotini?».

Continuano a ridere. «Li ho già addormentati con un po’ di MDMA, adesso, a dire la verità, ne stavo cercando un po’ per me», la droga è sempre un argomento valido con questi piccoli teppisti. Il gioco è fatto. I ragazzi si buttano per terra dal ridere e mi fanno entrare nel gruppo. In breve divento la novità della nottata, in un luogo dove, viceversa, è sempre tutto uguale. Nei secoli dei secoli. Amen.

Racconto qualche storiella criminale appresa in gabbia, dopo appena un’ora pendono tutti dalle mie labbra come se fossi un cazzo di incantatore di piccoli, fottuti, serpentelli. Sono sempre stato bravo in queste stronzate. Una volta un amico mi disse: «Merda! Quando c’è da baccagliare, diventi un cazzo di Nietzsche».Questa notte ne ho bisogno più che mai, il mio angelo morde, sempre più forte, a ondate. Ci penso e mi manca il fiato, entro in una sorta di apnea percettiva.

Una parte di me continua a intrattenere i nanetti, l’altra si accascia su se stessa in preda a un dolore lancinante. Ma tutti ridono e ora il protagonista deve affrontare il monologo finale, quello in cui, dopo averli conquistati, si autoinvita a passare la serata con loro. E così accade. Fanno pure a gara a chi mi prende in macchina, gli stronzetti. Sono il loro imperatore, ormai. Saliamo in macchina e ci dirigiamo verso la discoteca più grande e rinomata della zona, quella in cui non riesci mai a entrare, ma fortunatamente per i sorcetti io conosco tutti, da queste parti mi hanno visto razzolare per anni e ho fatto serata praticamente con ognuno di loro.

Veniamo accolti come star, sorpassando la fila tra i sorrisi dei PR, abbracciati dalle ragazze dell’animazione. Le merdine sbottano definitivamente, a questo punto potrei chiedere qualsiasi cosa. Infatti gli spillo un po’ di MDMA, è la droga che va di moda tra i giovani, la “droga dell’amore”, perché sotto il suo effetto ti fai delle scopate colossali. Ormai il branco è formato: io, Andrea, Burt e un altro ragazzo silenziosissimo di cui non ho ancora capito il nome. Burt prepara una bottiglietta, beviamo e ci buttiamo in pista.

Come mi sento bene tra loro… Il mio angelo divoratore non morde più, tutto è come prima del suo avvento, tutto risuona morbido e dolce. Voglio bene a chiunque, amo tutti. Il mio corpo viene spostato dai colpi della cassa e più mi avvicino ai monitor più sento soffiare il cuore a tempo, riesco a pensare senza soffrire: un miracolo! Un’amica dell’animazione mi bacia amorevolmente, regalandomi una dolce erezione che non ho nemmeno voglia di nascondere, poi svanisce nella pista mentre io continuo a ballare.

Il sudore è piacevole, non è a gocce, è vaporizzato su tutto il corpo, come rugiada. Mi sento bellissimo. Andrea e Burt stanno ballando come pazzi, mentre il nostro terzo socio è seduto su un divanetto con una tristezza che mi fa rabbrividire, molto simile a quella con la quale convivo io da tempo. da troppo tempo.Lo raggiungo, mi siedo e gli parlo: «Ehi stronzetto, che combini?». Seduto al suo fianco, un travestito di mezz’età sta facendo un pompino a un ragazzo, lui li guarda con aria disarmata, come se provasse una pena infinita.

Strano, a me certe scene fanno ancora ridere, penso. E invece questo minchietto ci guarda tutti come se fosse Gesù Cristo che perdona i suoi aguzzini. Come se quello grande fosse lui, non io, né quello sfinito che la sera si veste da donna e va a spompinare i drogati in discoteca. Di colpo Luca, si chiama così, dice: «Non ho più voglia di vivere». «Non dire cazzate micetto, non vedi i tuoi amici come ci stanno dando dentro? Che cazzo ti prende?» La situazione si appesantisce. Questo coglioncello mi sta facendo risalire la carogna, qualche ora fa non riuscivo nemmeno a deglutire e adesso sto bene, come cazzo è possibile che mi lasci sempre tirare in mezzo così?

Non voglio pensare a nulla fino a domani. L’alba è la salvezza, è l’arrivo, la terraferma. La notte fa ancora troppa paura. L: «Isa mi ha lasciato, mi ha detto che non mi ama più, non mi sento più il cuore battere, non ha più senso nulla». Porca troia, ci mancava solo lo sbarbatello innamorato stasera. Non bastavo io a fare la parte del quindicenne… «Ma vaffanculo, ne trovi quante ne vuoi. Guardati intorno, cosa cazzo pensi, che l’amore duri in eterno? Ti è solo andata bene, tra qualche mese l’avresti lasciata tu per una più figa.»

Lo sto dicendo ma non lo penso, io sono nella sua stessa condizione. Quando non ti interessa nient’altro che quella persona, ti fa male persino il pensiero di sfiorarne un’altra. Ma lui ha diciotto anni, è piccolo, non può provare certe cose, ha ancora la vita davanti. Il suo angelo guerriero non è ancora arrivato.«Senti, mi hai proprio rotto le palle, sai che ti dico? Sta’ pure qui a pisciarti addosso, io vado a ballare con gli altri.»

Luca mi risponde: «Arrivo tra un po’». Raggiungo gli altri che ridono sguaiatamente con due ragazzine molto carine, che invidia vederli così spensierati. In questo momento mi si riempie il cuore, so perfettamente però che domani mi sentirò ancora più solo e sfigato. A: «Ehi Drago, dove cazzo eri finito, hai visto Luca? Vi stiamo cercando da due ore: loro sono Ruby e Isa, due nostre amiche». Oh, cazzo! Non sarà mica che una di questi due prototipi di donna è quella che ha svitato il cervello a Luca… Se Luca arriva adesso, succede un casino.

Mi giro e, neanche a dirlo, lo vedo a una decina di metri con gli occhi gonfi di dolore: immobile tra le migliaia di persone festanti assiste impietrito alla scena. Lei se ne frega allegramente, è veramente bella, una di quelle bellezze che toglie il fiato, capace di offuscare qualsiasi altra ragazza al suo fianco: balla volteggiando come una farfalla, facendosi rincorrere dai suoi amici, noncurante del fatto che quel poveraccio sta lì a guardarla con un pugnale piantato nel cuore. A volte l’universo femminile è smodatamente spietato, magari, però, penso, più semplicemente non l’ha visto.

Di solito le ragazze di questa età zompettano sulle punte spostandosi con leggerezza da un fiore all’altro. Questa ragazza, invece, plana. Lieve, al di sopra del prato. Cioè, il prato lei proprio non lo vede. Sarà difficile per Luca levarsela dalla testa, sarà difficile per me ora che conosco la storia starne fuori, sotto effetto di MDMA divento una specie di sanfrancesco del cazzo: vorrei che tutti stessero bene, niente più guerre, no more fame nel mondo. Anzi, una mattina, dopo una festa, seduto in riva al mare, ho anche cercato di escogitare un modo per risolvere il problema della “monnezza” a Napoli.

Non devo farmi prendere, però. Il mio angioletto dalle ali dorate è lì che mi aspetta, dietro l’angolo, e sembra ogni giorno più agguerrito. Non credo che riuscirò a tenerlo a bada ancora per molto, basta un passo falso, un pensiero malinconico, un’assonanza lontana con il suo vero nome, e tornerà ancora prima che passi l’effetto miracoloso di questa drogaccia. Ma il mattino è alle porte e la fine di questo viaggio esotico si avvicina, i rospetti mi trascinano in macchina a fare colazione, ma non ne ho voglia.

Non mangio ormai da giorni e, poi, lo stomaco mi si è chiuso ripensando alla scena di prima. Rimango in macchina con Luca che dorme come un cucciolo ferito. È così vulnerabile che potrei spezzarlo con uno sguardo, ma così vivo e forte che questa storia gli scivolerà addosso tra poco tempo. Il sottoscritto invece è fottuto, anni di abusi di ogni tipo – da quello chimico a quello emotivo, a quello fisico – hanno mandato definitivamente a farsi fottere il mio equilibrio.

Non mi rialzerò da questa pozzanghera e forse è giusto così, non sono mai stato quello da “famiglietta felice”. Anche se adesso, ripensandoci, con l’angioletto forse sarei riuscito persino a riprodurmi. Proprio con l’unica donna che non mi ha voluto, vorrei fare dei figli… Cazzo, questo si chiama realismo! Oppure è semplice stupidità umana lanciata a tutta birra sull’autostrada del successo, per cui ne vuoi sempre di più. Non ti basta quello che hai, ne vuoi ancora. Non t’importa quello che hai fatto, né fin dove sei arrivato, ne vuoi semplicemente di più.

Sto ricominciando a soffrire. Lo sento dentro, sulla pelle, nelle ossa. Inizio a pensare che, per non soffrire, bisogna non farsi attraversare dalla passione, rimanere impassibili e distaccati, lasciarsi scivolare addosso le cose, essere come fili d’erba al vento, muoversi rapidamente e non farsi prendere. Ma il tempo ti rallenta e a un certo punto inizi ad avere voglia di provare emozioni più forti, di non sentirti sempre mezzo vuoto in ogni cosa che fai: questa è l’anticamera della fine per quelli come me, perché poi finisce che esageri. Guardo fuori, un sole rossissimo inizia a sorgere dalla linea piatta del mare, ci sono colori incredibili, fanno pensare che questa sarà un’estate eccezionale, ma non riesco a godere di questo momento.

Una volta, una serata così mi sarebbe stata d’aiuto, ora non basta più. Questa notte l’avrei voluta passare con te, mio angelo spietato venuto dal nulla per distruggermi. Esco da questo abitacolo intriso di tristezza e provo a rimettermi in piedi. Mi levo le scarpe, arrotolo i pantaloni fino alle ginocchia, cerco di raggiungere il mare. La sabbia fa uno strano effetto sotto i piedi, piacevole e fresco. È come se il mio corpo amasse questa sensazione, come se camminare al mattino in spiaggia, dopo una serata così, fosse la cosa più giusta da fare. Rimango allucinato dal numero di persone in giro a quest’ora; una processione di anziani, che ora mi sembrano assurdi, che parlano, raccolgono conchiglie, camminano nell’acqua.

Mi siedo e osservo il sole sorgere in tutto il suo splendore: beato lui, non si deve mai asciugare quando esce dal mare. Un’ultimissima ondata di calore avvolge il mio cuore, sento i ragazzi che urlano il mio nome mentre corrono verso di me. Inizio a pensare che finiremo tutti in acqua. Mi superano, praticamente nudi e si lanciano tra gli sguardi straniti dei vecchietti, che li osservano come se il mare a quest’ora fosse solo loro, come se non fossero mai stati giovani e non avessero mai fatto il bagno all’alba dopo una serata come questa… Io non voglio invecchiare così. Io voglio ricordarmi di tutte le cazzate che ho fatto. E di tutti i bagni all’alba della mia vita.

Mi guardo intorno e mi rendo conto che Luca non c’è, non è ancora sceso dalla macchina. Forse gli farebbe bene venire qui a buttarsi in acqua con i suoi soci. Mi giro, ma la macchina è sparita. Oh cazzo! Vuoi vedere che quel coglione è andato a casa di Isa a “pregarla di maritare”? Non ci posso credere, mi alzo e inizio a cercare la macchina con lo sguardo. Non deve essere partito da molto, se riuscissi a fermarlo in tempo gli risparmierei un gesto veramente umiliante. La strada è vuota, cerco in tutte le direzioni, ma niente. Sto per lasciar perdere quando con la coda degli occhi vedo il culo della macchina di Andrea infilato in un boschetto a cinquecento metri da noi: chissà che cazzo starà facendo il poveretto?
Faccio per riaccucciarmi e godermi quest’ultima ventata di benessere prima che l’effetto dell’MDMA finisca, ma poi non ci riesco e decido di andare a prendere quello sfigato per buttarlo in acqua. Ma quanto sono lunghi cinquecento metri? Non sono mai riuscito a quantificare percorsi così brevi e spesso quella che pensi sia una distanza minima, in realtà non lo è per niente. Le distanze brevi, poi, sono più complicate da decifrare. Cammino nella sabbia che, da fresca che era, adesso inizia a pungere. Il sudore sgorga dalla mia fronte. Il sole, prima così colorato e innocuo, comincia a strillare la sua rabbia. I colori rassicuranti e accesi dell’alba in breve lasciano spazio a quelli scontati, e pieni di aspettativa, della mattina. La mia aspettativa, invece, non si è mai sentita più tradita di così, questi non sono cinquecento metri e il dolce nuotare nel “benefico flusso” è praticamente svanito.

Tutto il vuoto che c’è in me esplode improvvisamente in un assordante silenzio. Questi metri sono lunghissimi, non finiscono mai e più avanzo, più il respiro diventa affannoso. Il sudore, questa volta in gocce enormi, mi infastidisce, non riesco più a tenere lontano il pensiero del mio angelo guerriero che sta arrivando a prendermi. I cinquecento metri più lunghi della mia vita sono. Ma ci sono quasi. Sono veramente incazzato, però: se ’sto coglione non mi avesse coinvolto nelle sue stronzate ora starei sicuramente meglio. Arrivo e lo vedo sdraiato addormentato al posto di guida, penso che ora lo insulterò per bene. Mi stanno veramente girando le palle. Mi avvicino rapido per svegliarlo e mi accorgo che la macchina è accesa, e mentre penso a quanto sia coglione, mi si ferma il sangue nelle vene.

Mi accorgo che, dal finestrino posteriore, un tubo entra nell’abitacolo. Inizio chiaramente a sentire l’odore agghiacciante dello scarico del motore, realizzo all’istante che sta cercando di uccidersi. Mi faccio sopraffare dal panico, mentre cerco di aprire la macchina, ermeticamente chiusa: urlo, prendo a pugni il vetro, tiro calci ovunque, urlo ancora, trovo una grossa pietra e la scaglio sul vetro, ma non succede nulla. Il mio angelo intanto inizia a colpirmi con affondi al cuore, morde, morde forte, sempre di più, morde senza sosta. La vedo che volteggia come una farfalla che non riesco a prendere, la paura si fonde col dolore in un mix indescrivibile, allucinante. Non so per quale motivo, mi viene in mente di provare ad aprire il portellone posteriore. Infatti, per fortuna, si apre. Spalanco la portiera davanti e tiro fuori il ragazzo, vengo inondato da un puzzo di ottani bruciati.

Il cuore mi sta esplodendo in petto, lo prendo e provo a fargli la respirazione artificiale. Non so nemmeno come si faccia, cioè, non me l’hanno mai insegnata, ma l’ho vista fare tantissime volte nei film e mi sembra una cosa familiare. Forse ho fatto più danni che bene, ma il figlio di puttana si sveglia. In preda a uno scatto d’ira inizio a urlargli in faccia di tutto, la rabbia si impossessa di me. Tutto il dolore che ho dentro si fonde con lei che diventa sempre più deflagrante. Non riesco a fermarmi, lo strattono potentemente e le lacrime mi schizzano dalla faccia come se fossero saette infuocate, urlo come un lupo a cui abbiano ucciso la compagna.

Il ragazzo si spaventa, si alza e corre via velocemente, senza voltarsi. Non deve essere stato un risveglio delicato, avrà pensato di essere finito all’inferno dove un demone deforme e bavoso lo aspettava per ucciderlo un’altra volta. Appena si renderà conto di quanto è successo non credo ritenterà l’esperimento. Intanto però io rimango lì, con la faccia tra le mani e gli occhi che sembrano un fiume in piena. L’angelo sta per uccidere il demone, ormai è sopra di me, è dentro di me, ha il mio cuore tra le mani e sta per colpirlo con spietata precisione.Non credo di aver mai sentito una pressione tanto forte nel petto, il respiro arranca, le gambe non reggono, tutto fa paura, anche stare fermo immobile.

Con l’ultimo residuo di energia che ho in corpo alzo la testa e vedo la macchina a pochi centimetri da me ancora accesa, sgorgante di gas. Non può essere peggio di questo, penso. E se fosse giusto così? E se quello stronzetto avesse preparato tutto solo per me? Solo perché qualche fortuita coincidenza del cazzo mi facesse arrivare proprio qui davanti a questa macchina redentrice per darmi l’ultima scelta? La fuga. La fuga da questo dolore che da quando ti conosco non smette, che da quando ci sei tu, mio angelo bellissimo e spietato, non mi lascia più vivere. Allora mi muovo, lentamente. Con un calcio chiudo la portiera posteriore. Mi isso nell’abitacolo, con un sorriso che sfiora la mia anima. Mi siedo. Chiudo la porta e mi addormento. Non mi farai più male, angioletto mio. Non mi toglierai più l’aria, la fame, il sonno. Niente potrai più farmi. Mio angelo guerriero arrivato dal nulla a distruggere tutto.

***
Angelo Guerriero è il racconto contenuto nel libro di Samuel Romano e Marco Garofalo ElettricaVitA, uscito il 17 gennaio per Mondadori.

Samuel Romano è il frontman dei Subsonica (per cui scrive anche i testi insieme a Max Casacci e Davide Dileo) e dei Motel Connection. ElettricaVitA è il suo primo libro.

Mauro Garofalo è giornalista e reporter, collabora con Nòva – Il Sole 24 Ore e con la RAI. È autore di Iolavorointv e coautore di In pArte Morgan.