Fari della cultura: Elio e le storie tese

Il Sole 24 Ore su quella che un tempo suonava una provocazione e oggi è una verità condivisa: senza EELST "la vita sarebbe un po' meno bella"

(Lapresse)
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Nell’inserto culturale della domenica del Sole 24 Ore Claudio Giunta celebra la grandezza nella cultura italiana recente di Elio e le Storie Tese, a partire dalla loro inclusione nel libro Modernità italiana, a cura di Andrea Afribo e Emanuele Zinato (Carocci 2011).

Qualche giorno fa a Radio Deejay Nicola Savino ha detto qualcosa come «Senza Elio e le Storie Tese la vita sarebbe un po’ meno bella». Radio Deejay non è campo neutro, dato che gli EelST ci fanno un programma ogni lunedì sera da quasi vent’anni (già solo il titolo del programma, Cordialmente, richiederebbe righe e righe di spiegazioni, perché per quello slittamento linguistico che coinvolge molte delle parole usate dagli EelST – e i loro stessi nomi: Elio non si chiama Elio, Rocco Tanica non si chiama Rocco Tanica – al titolo si sono aggiunte, negli anni, infinite irrazionali sconce appendici, impossibili da registrare qui, e il risultato è che oggi il programma si chiama Cardialmente gigioneggiamo, ma domani cambierà ancora). Radio Deejay non è campo neutro, ma la verità, detta molto in breve, è questa: la vita sarebbe un po’ meno bella senza gli EelST.

Naturalmente questo si può dire di un mucchio di cose e di un mucchio di persone, e ognuno ha il suo elenco: «il secondo movimento della sinfonia Juppiter, Louis Armstrong, l’incisione di Potato Head Blues, i film svedesi naturalmente, L’educazione sentimentale di Flaubert , quelle incredibili mele e pere di Cézanne…» (Woody Allen, Manhattan). Sono tutti grandi piaceri: ma sono piaceri per iniziati, che per essere davvero apprezzati richiedono tempo, educazione, applicazione. Le vite medie non sono illuminate da Flaubert o da Cézanne, e anche nelle vite degli intellettuali sospetto che Flaubert e Cézanne contino un po’ meno di quanto agli intellettuali piace raccontare. E poi alla grande arte si collega quasi sempre un po’ d’amarezza: uno può godere dell’Educazione sentimentale, può ringraziare Dio che Flaubert l’abbia scritta, ma il finale del romanzo non spinge veramente a pensare che la vita sia bella (qualche suo frammento lontano, semmai, ma ora non più): chiudiamo il libro affascinati, commossi, ma non con il sorriso sulle labbra. E insomma, tra ciò che rende la vita degna di essere vissuta e ciò che la rende ‘più bella’ la sovrapposizione non è perfetta. Kafka, per dire, sta nel primo cesto, non nel secondo; e anche i film svedesi, direi.

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