Una settimana di scontri in Tibet
Almeno tre persone sono morte dopo che i poliziotti cinesi hanno sparato contro la folla che protesta per la dura repressione del governo
Un ragazzo di vent’anni è morto dopo che la polizia ha sparato contro un gruppo di manifestanti tibetani nella città di Dzitoe Barma, che si trova nella prefettura autonoma tibetana di Ganzi, nella provincia di Sichuan. I manifestanti stavano protestando per l’arresto di un uomo che aveva affisso a Lhasa un manifesto a favore della libertà del Tibet e del ritorno del Dalai Lama. Nell’ultima settimana nel Sichuan almeno tre tibetani sono stati uccisi dalla polizia durante manifestazioni a favore dell’indipendenza del Tibet. Le stime dei morti sono molto confuse e i gruppi per i diritti umani parlano di cifre diverse da quelle ufficiali e che sono difficili da confermare a causa dei limiti imposti dal governo ai giornalisti internazionali. Sembra inoltre che sia internet che le comunicazioni telefoniche siano state sospese nelle zone interessate dalle proteste, come per esempio la città di Chengdu.
I primi scontri sono avvenuti lunedì dopo che alcuni gruppi di tibetani si erano rifiutati di festeggiare il capodanno cinese che si celebrava in quel giorno. Il governo cinese ha confermato la morte di un manifestante nella città di Luhuo e l’agenzia di stato Xinhua ha raccontato che «la folla, alcuni con coltelli e pietre, ha attaccato una centrale della polizia. Ha distrutto due auto della polizia, aggredito i negozi nelle vicinanze e una banca, danneggiando lo sportello del bancomat». Le associazioni per i diritti umani raccontano che lunedì la polizia ha picchiato i manifestanti e ha portato via alcuni di loro sui camion. Altre persone sono state arrestate durante rastrellamenti casa per casa. Si parla di almeno cento persone arrestate tra cui alcuni monaci.
Le violenze si sono ripetute martedì: secondo l’associazione Free Tibet la polizia ha sparato contro i manifestanti uccidendo due persone nella città di Seda, dove ora sarebbe stato imposto il coprifuoco. Radio Free Asia, che si trova negli Stati Uniti, riporta che tra lunedì e martedì le persone uccise sarebbero state almeno cinque e quelle ferite 40. Martedì l’International Campaign for Tibet ha detto che le persone uccise sono tre e ha diffuso alcune foto di un tibetano di nome Yonden che sarebbe stato ucciso dalla polizia a Luhuo. Il suo funerale si svolgerà nei prossimi giorni e si attendono nuove proteste. Xinhua ha riferito la morte di due manifestanti in tutto, uno a Luhuo e l’altro a Seda, e il ferimento di 14 poliziotti.
Il governo cinese sostiene di essere intervenuto per mantenere l’ordine pubblico e ha accusato i tibetani in esilio di ingigantire il numero dei morti e la repressione. Giovedì il leader dei tibetani in esilio, Lobsang Sangay, ha chiesto alle Nazioni Unite di inviare una delegazione in Cina per indagare sulle proteste e sull’uccisione dei manifestanti da parte della polizia cinese. Fotografie postate sui microblog cinesi fanno pensare che la polizia abbia rafforzato il controllo su molte aree abitate da tibetani dopo gli scontri degli ultimi giorni.
Gli Stati Uniti hanno espresso forte preoccupazione per gli scontri di questa settimana, definendoli i più violenti dal marzo 2008, quando almeno 15 persone vennero uccise. Anche in questo caso i dati sono discordanti e secondo il governo tibetano in esilio i morti furono almeno ottanta. La situazione è peggiorata dopo che lo scorso anno 16 tibetani si sono dati fuoco per protestare contro la repressione cinese.