Le conseguenze perverse dell’austerità
Anche i dati del Fondo Monetario Internazionale, osserva l'Economist, mostrano come politiche fiscali troppo rigorose facciano aumentare gli spread invece che ridurli
Il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato un aggiornamento delle sue previsioni di crescita del prodotto interno lordo mondiale per il 2012. Il Fondo Monetario Internazionale, fondato nel 1945 e con sede a Washington, negli Stati Uniti, ha abbassato la stima di crescita globale dal 4 per cento (stima del settembre 2011) al 3,3 per cento. Il FMI ha detto che la revisione al ribasso si deve principalmente alla crisi dell’area dell’euro, che nel 2012 potrebbe nel complesso affrontare una “leggera recessione”. I dati sono stati ben riassunti ieri da un grafico sull’Economist.
I dati erano accompagnati da un rapporto sul fisco che oggi lo stesso Economist definisce “inquietanti”, raccogliendo gli argomenti che erano già stati esposti nei mesi scorsi da molti economisti, tra cui Paul Krugman. Il rapporto mostra, tra le altre cose, che il 2011 è stato un ottimo anno per gli avversari del deficit e del debito. Le economie dei paesi avanzati hanno ridotto i deficit di bilancio dell’uno per cento del prodotto interno lordo. Si prevede che l’anno prossimo i deficit si riducano almeno di un altro punto percentuale. Il problema è che questa riduzione non sta avvenendo a fronte di un miglioramento delle condizioni economiche del paese, e quindi di un allargamento della base imponibile, bensì le sue cause sono quasi esclusivamente due: tagli alla spesa, aumenti delle tasse. È quello che hanno fatto, tra gli altri, Francia, Spagna e Italia.
(“Lasciate perdere il debito”, Paul Krugman spiega perché Europa e Stati Uniti stanno sbagliando tutto)
Ora, sebbene la riduzione del deficit possa avere effetti positivi nel medio e lungo periodo, le conseguenze nel breve periodo potrebbero essere gravi – e compromettere i benefici sul medio e lungo periodo. La notizia non è questa: è noto che una stretta fiscale può ridurre consumi e crescita nel breve periodo, ottenendo benefici nel lungo termine. La notizia è che gli investitori in questo momento sembrano basarsi più sui risultati di breve periodo che su quelli di lungo periodo.
Lo dice proprio il rapporto del Fondo Monetario Internazionale, che fa riferimento soprattutto agli indicatori economici più strettamente legati alla fiducia degli investitori, come gli spread: le differenze di rendimento tra i titoli di Stato, e quindi gli interessi che i paesi sono costretti a offrire per prendere denaro in prestito dai mercati. Lo studio mostra come in questa fase le riforme delle pensioni, dei sistemi sanitari, così come le misure volte a rilanciare la crescita economica lentamente e nel lungo termine, non abbiano avuto grande impatto sul contenimento degli spread. Ce l’hanno avuta, invece, le previsioni di crescita sul breve termine, positive o negative.
Lo stesso Economist definisce il fatto “sorprendente”, visto che in teoria la crescita nel lungo termine dovrebbe essere vista dagli investitori come importante e rassicurante ai fini della solvenza del debito. Invece no: in questa fase mercati e investitori sono “sedotti” e rassicurati dai risultati ottenuti nel breve termine piuttosto che in quelli di un futuro più o meno lontano. Oltre che sorprendente, il dato è preoccupante: politiche fiscali più rigorose, danneggiando la crescita del PIL nel breve termine, possono generare spread più larghi e non più stretti. Tagliare deficit e debito in modo troppo aggressivo può fermare o rallentare la crescita economica, questo fa allargare gli spread, questo a sua volta fa aumentare, e non diminuire, il rapporto tra debito e PIL. “Ridurre il debito è una maratona, non uno sprint”, ha detto il capo economista del Fondo Monetario Internazionale. “Andare troppo forte uccide la crescita”.
foto: Matt Cardy/Getty Images