I guai dell’economia giapponese
Nel 2011, per la prima volta in trent'anni, il Giappone ha importato più di quanto ha venduto all'estero: non è solo colpa dello tsunami, dicono gli esperti
Il ministero delle Finanze giapponese ha dichiarato che nel 2011 la bilancia commerciale del Giappone è stata in deficit, per la prima volta dal 1980. Il deficit, secondo i dati del ministero, è stato di circa 2.490 miliardi di yen (24,5 miliardi di euro). La bilancia commerciale è un indicatore economico molto importante per un paese, e il deficit giapponese è dovuto alle conseguenze del terremoto e dello tsunami del marzo 2011, ma anche a diversi altri fattori che secondo gli analisti rivelano una fase di difficoltà più profonda dell’economia giapponese. Le esportazioni, infatti, sono state il motore principale della crescita economica giapponese negli ultimi anni: il paese importa materie prime ed esporta (principalmente negli Stati Uniti, in Cina e nell’UE) prodotto tecnologici, dall’elettronica alle auto alle fibre ottiche e ai semiconduttori.
La bilancia commerciale tiene conto del valore complessivo delle esportazioni di un paese, cioè di quello che un paese vende all’estero, e del valore delle importazioni, cioè di quello che un paese compra dall’estero e consuma. Non tiene conto di altri fattori importanti, come i trasferimenti finanziari e gli investimenti internazionali di un paese, che insieme alla bilancia commerciale formano il conto delle partite correnti: se si tiene conto anche di questi fattori, il conto delle partite correnti giapponese continua ad essere positivo, ma secondo gli analisti questo cambierà nei prossimi anni, già a partire dal 2015. Questo cambiamento avrebbe probabilmente conseguenze molto pesanti per il valore della moneta giapponese, lo yen, e per il mercato dei titoli di Stato giapponesi, che fino ad ora sono stati considerati molto solidi, tanto da beneficiare della crisi dell’area dell’euro.
Nel 2011, le importazioni del Giappone sono aumentate del 12 per cento e le esportazioni sono diminuite del 2,7 per cento rispetto al 2010. Le cause sono state diverse: hanno sicuramente pesato il terremoto e lo tsunami dell’11 marzo 2011, che hanno danneggiato e bloccato per settimane gli impianti di aziende fondamentali per le esportazioni giapponesi nel settore dell’auto e dell’elettronica, come Toyota e Sony. Ma hanno pesato anche le disastrose alluvioni in Thailandia, che hanno colpito stabilimenti che producevano beni per le aziende giapponesi, e la crisi della zona euro: molti investitori hanno investito grandi somme nello yen, vista la debolezza del dollaro e dell’euro, causandone l’aumento di valore (il che vuol dire anche che le merci giapponesi, per i paesi esteri, costavano di più), e dall’altra parte Europa e Stati Uniti hanno comprato meno beni giapponesi. Il Giappone soffre anche la concorrenza crescente della Corea del Sud e di altri paesi asiatici, e il progressivo invecchiamento della sua popolazione.
Il disastro della centrale nucleare di Fukushima, poi, ha causato anche un aumento delle importazioni nel settore energetico, mentre per la prima volta nella sua storia il Giappone registrava un’insofferenza dell’opinione pubblica verso l’energia nucleare (e il governo di conseguenza ritardava la ripartenza delle centrali ferme per manutenzione): le importazioni di petrolio greggio sono aumentate del 21,3 per cento e quelle di gas naturale del 37,5 per cento rispetto al 2010. Il governo, intanto, fatica a prendere contromisure, vista la tradizionale incapacità della politica giapponese di prendere decisioni drastiche e l’abitudine a procedere solo con consensi molto ampi: l’aumento dell’IVA (che inciderebbe molto probabilmente sui consumi, diminuendoli) proposto dal primo ministro Noda è molto contestato e ha già portato a un rimpasto del governo a metà gennaio.
foto: AP Photo/Junji Kurokawa