La vita a Homs
Alberto Stabile racconta su Repubblica l'assedio militare nella città siriana in cui la repressione del regime ha ucciso più persone
Su Repubblica di oggi c’è un reportage di Alberto Stabile da Homs, una delle città siriane al centro delle rivolte contro il presidente Assad, nonché quella in cui secondo l’opposizione la repressione violenta del regime ha ucciso più persone.
L’unica certezza sono i morti, a decine, a centinaia da quando è esplosa la protesta, e la paura che si taglia a fette mentre camminiamo per le stradine di Hamidiyeh, il centro storico abitato da una maggioranza di cristiani i quali, anche se non lo dicono apertamente, cominciano a sentirsi nel mirino. Per il resto Homs appare come una città di fantasmi, spaccata in due non soltanto dall’Oronte ma dal fiume di sangue che da un mese a questa parte l’attraversa. Metà delle scuole sono chiuse, metà dei negozi devono tenere le saracinesche abbassate, metà degli uffici non funzionano. E metà dei suoi ottocentomila abitanti vive nell’incubo di un doppio assedio: quello della guerriglia che detta legge su interi quartieri, come Bab Amr, Bab Assiyeh, Talbissiyeh, e quello delle forze di sicurezza che, non potendo riprendere il controllo di queste zone, cercano almeno di bloccare le sortite del nemico.
Si deve parlare di guerriglia, ad Homs, perché qui la protesta popolare da cui tutto è cominciato, dieci mesi fa, ha perduto le sue caratteristiche originali. Ed anche la repressione, come dire, s’è adeguata. Certo, continuano le manifestazioni di massa nei quartieri dell’insurrezione, ma adesso sono “protette” da milizie armate di incerta provenienza, che il governo di Damasco rapidamente liquida “come bande terroristiche”. Così come spesso, nella parte della città rimasta sotto controllo governo centrale, si organizzano raduni di fedelissimi del presidente Assad.
Racconta Maher, 41 anni, tecnico di una multinazionale energetica, incontrato ad Amidyeh assieme ad un gruppetto di amici: «Ogni giorno è così, da mesi, con il lavoro a giorni alterni e i bambini costretti a stare a casa. Perché in alcune scuole si sono presentati i barbudos (così li chiama Maher, con una chiara allusione allo stile integralista islamico ostentato da alcuni militanti della rivolta, ndr) costringendo gli insegnanti a presentarsi ogni mattina da soli, per onorare lo stipendio che guadagnano, ma impedendo agli alunni di frequentare le lezioni». Fra gli amici di Maher è un coro di «così non si può più andare avanti» e di «cosa aspetta il presidente a fare piazza pulita di questi banditi?».