Il guaio col servizio civile
Il ricorso di un cittadino pakistano ha fatto sospendere il bando del 2012 e bloccato le previste ammissioni di 18.000 persone
L’accoglimento del ricorso di un cittadino pakistano, che chiedeva di poter avere accesso all’istituto del servizio civile nonostante fosse privo della cittadinanza italiana, ha portato a sospendere il bando per il servizio civile del 2012, che aveva già dato a 18.000 ragazzi e ragazze italiane la promessa ammissione annuale prevista dalla legge. Il governo si è detto favorevole ad allargare l’istituto ai cittadini stranieri ma ha fatto ricorso per evitare che il bando di quest’anno possa essere annullato ed evitare di danneggiare chi aveva già deciso di destinare un anno al servizio civile.
Certo il giudice del lavoro Carla Bianchini sarà molto fiera della sua sentenza: come un abile lancio di bowling, abbatte diciottomila birilli in un colpo solo. Strike.
I birilli sono ragazzi italiani di tutte le regioni, ognuno ormai certo di cominciare l’annata di servizio civile. Li aspettavano con ansia le associazioni della solidarietà e gli enti locali, per impiegarli al fianco degli anziani, dei disabili, dell’ambiente. La logica del servizio civile è molto poetica, quando non è utilizzato – come purtroppo avviene in certe zone – quale parcheggio di famiglia o ammortizzatore sociale: per 433,80 euro al mese, è un modo ottimo di chiudere qualche falla in tanti servizi cruciali a corto di personale, nonché occasione ideale per avviare tanti giovani al mondo del lavoro, con un’esperienza intermedia molto significativa (non a caso, su cento ragazzi che finiscono il servizio civile, trenta vengono poi confermati a tempo pieno).
Anche per quest’anno tutto era pronto: nel settembre scorso lo Stato aveva completato le procedure per finanziare il reclutamento, selezionando le richieste di enti e associazioni, quindi autorizzando le diciottomila assunzioni. Ma al momento di partire, questi giovanti soldati del bene si sono visti di fatto «licenziare» con un semplice colpo di spugna. È proprio la sentenza della giudice milanese a far saltare il banco e a creare un autentico cataclisma. Basti un rapido riassunto: il magistrato ha accolto il ricorso di Syed Shahzad Tanwir, 26enne pakistano in Italia da quando aveva tre anni, che non aveva accettato l’esclusione dal reclutamento. I motivi della sua bocciatura sembravano a tutti molto elementari, fino a pochi giorni fa: la legge che regola il servizio civile stabilisce come requisito fondamentale la cittadinanza italiana. Casualmente, il pakistano non ha questa cittadinanza. Eppure non si è rassegnato, avviando la battaglia che ha portato alla storica sentenza: il giudice del lavoro stabilisce che anche chi è privo di cittadinanza ha il diritto di fare servizio civile in Italia, dunque l’intero bando del 2012 va annullato.
«Gli effetti sono allucinanti»: così si esprime Claudio Di Blasi, presidente dell’Associazione Mosaico, che cura la gestione del servizio civile per 170 tra enti pubblici e onlus in Lombardia. «Diciottomila ragazzi che erano già pronti per lavorare, dalla sera alla mattina si ritrovano disoccupati. Con loro, finiscono in enorme difficoltà tante cooperative, tanti comuni, tante realtà che fanno assistenza ad anziani e disabili: saranno gli ultimi e i bisognosi a pagare, restando senza una basilare assistenza. Nel frattempo, abbiamo ragazzi che si sono già licenziati da un posto di lavoro precario per provare questa esperienza: ci stanno chiamando, si ritrovano senza niente in mano e non sanno che fare».
La legge non guarda in faccia a nessuno, si dice. Ma bisognerà anche dire che questa legge italiana sembra superspecializzata nell’inventarsi giustizia ingiusta. Se davvero riservare il servizio civile ai soli cittadini italiani è sbagliato, dovrebbe comunque toccare al Parlamento la modifica della norma. Invece, siamo sempre fermi all’improvvisata personale ed estemporanea. Con effetti biblici sull’intera collettività. Bel risultato, evviva la culla del diritto.