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  • Giovedì 19 gennaio 2012

L’uscita del Mein Kampf in Germania

Non era mai stato ripubblicato dopo la fine della Seconda guerra mondiale: ora lo fa uscire un editore inglese il giorno prima del Giorno della memoria, e ci sono polemiche

Ci sono molte polemiche in Germania per la decisione di un editore inglese, Peter McGee, di ripubblicare estratti del Mein Kampf di Adolf Hitler a partire dal 26 gennaio. Il libro-manifesto di Hitler non era mai stato ristampato in Germania dopo la fine della Seconda guerra mondiale, e questa sarebbe già sufficiente ragione di nervosismo, se non fosse che il giorno successivo alla pubblicazione, il 27 gennaio, è il “Giorno della memoria”, la ricorrenza annuale in cui si commemorano in tutto il mondo le vittime dei campi di concentramento nazisti.

Il Mein Kampf (“la mia battaglia”) è il lunghissimo testo in cui Adolf Hitler espose le sue idee politiche e razziste, pubblicato per la prima volta in due volumi tra il 1925 e il 1927. Durante il regime nazista venne stampato in oltre dieci milioni di copie. L’edizione del prossimo 26 gennaio sarà limitata a sedici pagine del libro, a cui seguirà la pubblicazione di altri due estratti di uguale lunghezza nelle settimane successive, e apparirà con un commento di Horst Pöttker, professore all’istituto di giornalismo della Technische Universität di Dortmund e collaboratore scientifico della rivista.

Peter McGee è il proprietario della casa editrice Albertas Limited, con sede a Londra, ed è l’editore di Zeitungszeugen (un gioco di parole traducibile come “testimoniare con i giornali”) al cui interno comparirà la riedizione del testo di Hitler. Il numero del 26 gennaio sarà il primo della seconda serie della rivista settimanale (la prima apparve in un centinaio di numeri tra il 2009 e il 2010), che contiene riproduzioni di giornali e riviste tedesche dell’epoca nazista, corredate da una introduzione e un inquadramento storico. Ogni uscita contiene l’edizione completa di due o tre pubblicazioni degli anni 1933-1945: dal quotidiano ufficiale del partito nazista (il Völkischer Beobachter) ai giornali stampati all’estero dagli esiliati tedeschi.

Lo scopo dichiarato della rivista è informativo e di divulgazione storica: anche nella pagina dedicata all’ultima iniziativa si dice che il Mein Kampf è un libro unlesbar, “illeggibile”, alludendo sia alla sua “censura” – culturale prima ancora che legale – dopo la Seconda Guerra mondiale, sia al modo in cui è scritto. Nelle ultime settimane sono andate in onda sulle televisioni private tedesche diversi spot della rivista, in cui adolescenti leggono al parco le ristampe di giornali di un secolo fa e dicono: “Ah, è andata così!”.

La scelta della data di pubblicazione ha sicuramente un obiettivo pubblicitario e commerciale. Come hanno fatto notare alcuni commentatori, infatti, il Mein Kampf si può trovare da anni su Internet senza problemi. Anche la prima uscita di Zeitungszeugen, nel gennaio 2009, avvenne in occasione di un anniversario molto significativo e sensibile per la Germania, i settant’anni dall’inizio della Seconda guerra mondiale (che iniziò nel settembre del 1939).

La pubblicazione del Mein Kampf non è vietata in Germania, ma il testo non è più stato ripubblicato, né completo né in parte, da nessun editore tedesco dalla fine della Seconda guerra mondiale. I diritti d’autore dell’opera, che scadono nel 2015 (70 anni dopo la morte di Hitler), vennero assegnati alla fine della guerra al governo dello stato federale tedesco della Baviera (e non agli eredi legali di Adolf Hitler), che ha sempre negato in passato l’autorizzazione alla stampa. Il ministero delle Finanze bavarese ha già annunciato che gli estratti che verranno pubblicati dal Zeitungszeugen, che non ha chiesto l’autorizzazione alla pubblicazione, sono troppo lunghi e violano la legge sul diritto d’autore, mentre McGee si difende dicendo che i suoi consulenti legali gli hanno assicurato la legalità dell’operazione. Già nel 2009 c’era stata una disputa legale tra il governo bavarese e il settimanale per la ripubblicazione del quotidiano del partito nazista, in cui un giudice bavarese dette ragione al periodico.

foto: STEPHAN JANSEN/AFP/Getty Images